Quest’anno ci sono stati i “Falò senza falò”
Le ordinanze hanno spento i fuochi di S. Antonio
ma i divieti sono ragionevoli? O no?
21 gennaio 2020. Quest’anno a Milano e in molte località dell’hinterland la festa di Sant’Antonio abate del 17 gennaio non è stata festeggiata con i soliti falò. Colpa del clima, che ha determinato l’accumulo degli inquinanti nell’aria.
Il primo segnale di veto è arrivato agli Orti di via Padova il venerdì precedente: “Il comandante della polizia municipale –si legge in un post dell’associazione- ci ha comunicato il divieto per contrastare l’inquinamento atmosferico. Vi aspettiamo comunque in orto per festeggiare con vin brulé e polenta”. Già perché i divieti non hanno cancellato le feste, con musiche, balli, canti e benedizioni degli animali. Ma al tempo stesso hanno acceso discussioni anche accese: i fuochi sono stati spenti d’autorità per salvaguardare i nostri polmoni, ma le stesse autorità non muovono un dito contro i tanti negozi del centro con le porte perennemente aperte e il riscaldamento che spara aria calda a manetta, generando consumi di energia e inquinamento. Gli impulsi d’acquisto (questa la “giustificazione” degli esercenti allo spreco inquinante) vanno salvaguardati più delle tradizioni millenarie?
Divieti accettati (con dispiacere)
La dicitura “Falò senza falò” è nata, a quanto sembra, dal Comitato del Ticinello, che organizza la Festa di Sant’Antonio a Cascina Campazzo (da cui sono tratte le foto publicate): “Ci è dispiaciuto moltissimo ma, faticosamente, abbiamo fatto la scelta giusta –fanno sapere dal Comitato-. A quanto ci consta, il divieto è un’ordinanza regionale e, con rammarico, abbiamo deciso promuovere il rispetto delle ordinanze, rinunciando al falò. Comunque, non sono mancati i balli con i musici, giochi a guardie e ladri, cioccolata calda e vin brulé, nonché la cerimonia della benedizione degli animali nelle stalle”.
Anche a Cascina Linterno, la catasta di legna impilata è stata disfatta quando è arrivata l’ordinanza della polizia locale “di accensione di fiamme libere”. Al posto del falò e del mangiafuoco, tante danze per scacciare l’inverno e richiamare la primavera, nonché bevande calde e musica per tutti.
Cosa che si è ripetuta negli altri eventi organizzati a Milano e negli altri comuni dei dintorni.
Divampano le polemiche
Ma non tutti hanno accettato a cuor leggero i divieti. Le critiche più dure provengono dal giornalista e videomaker Roberto Schema: “La cancellazione d’imperio dei Falò di Sant’Antonio reitera il demenziale atteggiamento nei confronti del mondo rurale. Se la metropoli milanese è così inquinata è per l’eccesso di cemento e asfalto che notoriamente la caratterizza e che nessuno, a parte pochi, critica. Anzi, si fa di tutto per ampliarla. Facciano meno grattacieli, meno consumo di suolo, meno “sprawling” o verrà il giorno che sul piatto invece della minestra metteremo il cemento. Il mondo rurale è VITTIMA dell’inquinamento urbano e assimilarlo al carnefice per i falò che si fanno in un giorno dell’anno è da stupidi ignoranti. Ridicolo. Mondo urbano e mondo rurale sono due cose diverse, gestire l’uno con i criteri dell’altro è quantomeno in malafede”.
E se si considera l’indifferenza-accondiscendenza con cui le istituzioni trattano i commercianti che mantengono a tutte le stagioni i propri negozi con le porte spalancate, si può affermare che il mondo urbano, con il fashion e la movida, viene molto più tutelato. Perché la spiegazione che porte spalancate “agevolino l’acquisto di acquisto” non regge: basta considerare il centro commerciale della Rinascente, dove le doppie porte a vetri non scoraggiano le maree di acquirenti, turisti o locali.
Ma anche se la giustificazione fosse valida, significa che il dio denaro sopravanza le antiche usanze?
Riti antichissimi
I Falò sono una ricorrenza estremamente sentita nel mondo contadino, non tanto per la vita del Santo (patriarca del monachesimo ascetico in Egitto del 300 d.C.), quanto nei riti a lui connessi, che si richiamano alle tradizioni precristiane e celtiche. Il fuoco che si accende quella sera ha molteplici significati: segno potente per esorcizzare il lungo e buio inverno e per “aiutare” la luce a rafforzarsi. “A Sant’Antoni un’aura bona”, era un detto del milanese, a commento soddisfatto che dal solstizio le giornate si sono un po’ allungate. Altro significato è la purificazione. Si brucia cioè ciò che resta del vecchio anno, compresi i mali e le malattie, a volte raffigurati da manichini, maschere e diavoli. Non è un caso che il Santo sia considerato guaritore dell’herpes zoster, il cosiddetto “fuoco di sant’Antonio”. Ma, più in generale, la tradizione popolare lo considera padrone del fuoco e custode dell’inferno, da cui riuscì a trafugare la fiamma grazie al maialino. Questo animale ci porta a un’altra importante usanza della sera: la benedizione degli animali. Il maialino è un attributo della Grande Madre Cerere dei Romani, e la cerimonia ricalca analoghe cerimonie pagane di purificazione degli animali, tipiche del mese di gennaio. Il legame con il maiale è così forte che il Santo è considerato protettore dei fabbricanti di spazzole, fabbricate una volta con le setole suine. I fili che uniscono passato e presente in questa festa sono fortissimi: il maialino è anche la cristianizzazione del cinghiale, attributo del dio celtico Lug che assicurava il ritorno della primavera e della luce, garante di fecondità e di nuova vita. Anche Pisanello, in un celebre quadro custodito oggi alla National Gallery di Londra, raffigurò l’eremita col cinghiale. Tornando ai nostri giorni, consci o meno dei suoi retaggi, la Festa di Sant’Antonio può rappresentare un’insolita maniera per avvicinarsi al modo contadino e alle sue tradizioni. Il fuoco brucerà i resti del vecchio anno, con le delusioni e i mali passati, e nel contempo ci scalderà il cuore, complice canti, balli, vin brulè e cioccolata calda. Per stare insieme, parlare e discutere della tradizione, ma anche di come questi eventi possano contribuire a far conoscere e salvaguardare il grande Parco Agricolo Sud Milano e le sue tradizioni plurimillenarie.