LE MARCITE del Parco del Ticinello
nel Parco agricolo sud Milano
In totale sono circa 91 quelle ancora attive
28 dicembre 2019. La marcita, o prato marcitorio, è una tecnica colturale di origini molto antiche, un tempo caratteristica della pianura del sud Milano. Questo capolavoro di ingegneria idraulica, che rese fertili e floride queste campagne in origine acquitrinose, si deve all’irregimentazione delle acque che i monaci Cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle iniziarono già nel tardo Duecento, bonificando le paludi che occupavano buona parte della pianura.
Era stata poi creata una fitta rete irrigua che alcuni secoli dopo si era completata con la realizzazione dei Navigli.
Il metodo di far marcire sui prati irrigui l’ultimo taglio, facendo stagnare le acque d’inverno, era probabilmente utilizzato già all’inizio dell’era volgare.
Il perfezionamento di questa tecnica, conseguente al miglioramento dell’apparato irriguo, portò alla fine del Settecento, con l’affermarsi anche della moderna scienza agraria, allo sviluppo delle coltivazioni a marcita che assicuravano il foraggio per quasi tutto l’arco dell’anno, accrescendo il numero dei tagli.
La conseguente diponibilità di abbondante foraggio favorì lo sviluppo dell’allevamento bovino, portando alla costruzione della cascina lombarda che, nella sua tipica struttura a corte chiusa, raccoglieva tutte le funzioni della vita produttiva, sociale e religiosa.
TECNICA COLTURALE
Sulla marcita scorre un sottile strato d’acqua da primavera ad autunno inoltrato. Questo velo d’acqua (che nel caso delle marcite alimentate da un fontanile ha una temperatura costante che non scende mai sotto gli 11°), mantenuto in continuo movimento dalla conformazione dolcemente declinante data al terreno, impedisce al campo di gelare e permette la crescita continua dell’erba, consentendo fino a otto-nove tagli di foraggio annuali contro i tre o quattro della coltivazione del migliore prato stabile.
Il nome “marcita” deriva appunto dalla consuetudine di lasciare l’ultimo taglio invernale a “marcire” nel prato irriguo, come concime. L’utilizzo delle marcite permetteva ai contadini di alimentare il bestiame anche d’inverno con erba fresca, ottenendo rese di latte e derivati del latte che primeggiavano in Europa per qualità e quantità.
Il primo taglio veniva effettuato a fine febbraio e l’ultimo tra la fine di novembre e la metà di dicembre.
La tipica conformazione “a schiena d’asino” del terreno, data dalla suddivisione del campo in tante strisce inclinate (ali) a due a due convergenti, fa intuire la tecnica colturale d’irrigazione: sulla testata della marcita, perpendicolare alle ali, è posto il canale adacquatore (o fosso di testa o adacquatrice principale), canale irrigatorio principale dal quale si dipartono perpendicolarmente i maestri, canali più piccoli che si trovano sul culmine delle ali (la parte alta in cui convergono). Nella parte bassa delle ali, paralleli ai maestri, sono scavati piccoli canali chiamati coli (o colatori, o secondari). L’acqua che proviene dal canale adacquatore si immette nei maestri e da qui scorre su tutta la superficie delle ali, che è in leggera pendenza, per poi raccogliersi nei coli, a loro volta collegati ad un canale chiamato colatore (o fosso di piede, o scolatore) che è posto in fondo al quadro di marcita. Da lì va poi ad irrigare la marcita contigua (modello di funzionamento della marcita “ad ali doppie”).
Come è facile intuire, il funzionamento della marcita presuppone un livellamento del terreno e una manutenzione del sistema estremamente complessi e accurati; un tempo c’era l’addetto specifico, il “camparo”, che si occupava unicamente di mantenere in condizioni ottimali l’impianto, operazione che andava svolta manualmente.
Con l’avvento della meccanizzazione e dell’agricoltura intensiva le marcite non sono più remunerative come un tempo, quello che era stato l’elemento di ricchezza e sviluppo di queste campagne è quasi scomparso.
Nel Parco Ticinello permangono quattro fra le ultime marcite perfettamente conservate e tuttora in attività del territorio del Sud Milano, identificate dagli antichi nomi che si riferivano a caratteristiche dei campi: Pra’ delle galline, Vigna, Forno alto e Maruzzello. Sono alimentate non da un fontanile, ma da un canale che deriva dalla Roggia Scarpogna.
Sono coltivate, osservabili dalla stradina interpoderale, testimonianza viva del passato, elemento fondamentale del territorio dal punto di vista culturale, storico, scientifico, nonché habitat ideale per molti animali che qui trovano dimora, area di sosta o di approvigionamento del cibo.
Nel Parco Sud attualmente “sopravvivono” circa 91 marcite