Immobilismo e inefficienza
non danno soluzioni ai rischi
per la moria di anatre a Basiglio
Sconcerta che a oltre due settimane dalla scoperta della prima dozzina di anatre morte a Basiglio, annunciata tempestivamente su questo sito e a tutte le autorità competenti, manchino ancora le analisi della Asl e non si sappia nulla sulle sue cause, sulla sua evoluzione e sulle risposte messe in campo. Altrettanto stupefacente è che le carcasse degli animali stiano decomponendosi sulle rive del Cavo Borromeo senza che nessuno faccia nulla: qualunque siano le cause della moria, i corpi putridi non possono che veicolare ed estendere gli effetti nefasti del morbo o della tossina/veleno: è la prima precauzione da mettere in atto secondo tutti gli esperti.
Ora che la situazione si è oggettivamente aggravata (gli esemplari trovati morti sono oltre una trentina, ma vista la folta vegetazione e la difficile accessibilità della zona il numero effettivo è sensibilmente più elevato) e grazie all’attenzione dei mezzi di informazione, finalmente sembra che qualcosa si muova: nei prossimi giorni il delegato all’Ambiente della Città Metropolitana, Filippo Barberis, dovrebbe radunare le istituzioni competenti per affrontare la situazione. Speriamo serva a fare chiarezza e a dare risposte immediate e certe, perché intanto l’allarmismo sta crescendo a livelli incontrollati…
Immobilismo e inefficienza
non danno soluzioni ai rischi
per la moria di anatre a Basiglio
Sconcerta che a oltre due settimane dalla scoperta della prima dozzina di anatre morte a Basiglio, annunciata tempestivamente su questo sito e a tutte le autorità competenti, manchino ancora le analisi della Asl e non si sappia nulla sulle sue cause, sulla sua evoluzione e sulle risposte messe in campo. Altrettanto stupefacente è che le carcasse degli animali stiano decomponendosi sulle rive del Cavo Borromeo senza che nessuno faccia nulla: qualunque siano le cause della moria, i corpi putridi non possono che veicolare ed estendere gli effetti nefasti del morbo o della tossina/veleno: è la prima precauzione da mettere in atto secondo tutti gli esperti.
Ora che la situazione si è oggettivamente aggravata (gli esemplari trovati morti sono oltre una trentina, ma vista la folta vegetazione e la difficile accessibilità della zona il numero effettivo è sensibilmente più elevato) e grazie all’attenzione dei mezzi di informazione, finalmente sembra che qualcosa si muova: nei prossimi giorni il delegato all’Ambiente della Città Metropolitana, Filippo Barberis, dovrebbe radunare le istituzioni competenti per affrontare la situazione. Speriamo serva a fare chiarezza e a dare risposte immediate e certe, perché intanto l’allarmismo sta crescendo a livelli incontrollati. Eppure, come descriviamo in seguito, casi analoghi sono stati trattati con molta più efficacia e tempestività a Milano.
Considerato che corrono voci su possibili collegamenti tra la moria e lo svuotamento/pulizia del laghetto di Milano 3 (vedi oltre), abbiamo chiesto informazione a Valerio Marazzi, assessore al Territorio e Ambiente del Comune di Basiglio, sulle modalità e le tempistiche di questi lavori. Nella sua risposta ci informa che il Comune ha ricevuto solo una comunicazione in merito in quanto non è l’ente preposto alle autorizzazioni, compito di Arpa e Asl. Si è comunque impegnato a richiedere ulteriori approfondimenti.
Coordinamento sì, ma con quali forze?
Ripercorrendo la vicenda, alla prima segnalazione della “sentinella” Tony Bruson (vedi articolo) del 16 luglio scorso, la risposta era arrivata prontamente: Arpa, Asl, Gev (Guardie Ecologiche volontarie) e volontari dell’Enpa (Ente nazionale protezione animali) erano intervenuti il giorno dopo per prelevare la dozzina di anatre morte o semiparalizzate. Non così la settimana successiva, dove solo un agente di polizia locale di Basiglio aveva risposto alle richieste di aiuto, verbalizzando la segnalazione e recintando la zona con un nastro. Ma le carcasse sono rimaste lì a marcire i giorni successivi, a qualche metro da una pista ciclabile e parcheggi, con il triste tanfo di morte che si diffondeva nell’aria. Il delegato all’ambiente Barberis di fronte a questo allarmante evento ha probabilmente le ali spuntate: senza una Polizia provinciale, cancellata d’imperio come un qualsiasi ente inutile, o altre strutture tecnico operative adeguate (ad es. il nucleo tutela animali della Polizia locale di Milano), è difficile passare dalle parole ai fatti.
Arpa, infatti, ha comunicato di non avere competenze al riguardo, dopo aver ipotizzato -in un documento del 27 luglio- che i lavori di riqualificazione del depuratore di Assago possano aver contribuito alla situazione in essere: “…non è da escludere tra le ipotesi di moria l’elevata carica batterica presente nel cavo Borromeo a seguito del consistente sistema di by-pass e la parziale/mancata disinfestazione finale”. Ciò però non concorda con il cessato allarme del comune di Assago che, già il 4 luglio -sulla base di dati Arpa- ha sancito la fine del divieto di utilizzo delle acque del Cavo Borromeo.
ARPA demanda quindi tutto alle strutture veterinarie della Asl, di cui abbiamo già detto delle omissioni nella raccolta delle carcasse e del silenzio sulle cause della moria, silenzio che ha favorito il proliferare di allarmismi.
Allarmi e paure
Il passaggio della notizia nei giorni scorsi sulle pagine locali dei quotidiani nazionali ha giustamente sollevato preoccupazioni e allarmi. Riportiamo qui di seguito quello di Stefano Apuzzo, animalista e assessore all’Ambienta del comune di Rozzano nonché esponente di spicco delle associazioni Amici della Terra Lombardia e di Gaia. Di rilievo è l’ipotesi che il focolaio sia partito dallo svuotamento e pulizia del laghetto di Milano 3 a Basiglio, che ha preceduto di qualche giorno i primi ritrovamenti di animali morti nel Cavo Borromeo. Sappiamo che il Comprensorio di Milano 3 ha richiesto le autorizzazioni ad ARPA ed Asl e ne ha dato segnalazione al comune di Basiglio. Ad oggi non ci è dato saper se i due Enti abbiano dato l’autorizzazione, se le operazioni siano state effettuate in presenza di personale specializzato (al fine di rilevare pesci, tartarughe e uccelli malati), in quale corso d’acqua siano finiti i pesci e le acque, dove siano stati portati gli uccelli e dove siano stati smaltiti i fanghi. Pienamente condivisibile è infine la richiesta alla Regione di intervenire rinviando la stagione venatoria, al fine di evitare epidemie.
Un caso analogo lo scorso anno al Parco Lambro di Milano
Riportiamo qui di seguito un articolo di Paola D’Amico apparso sul Corriere della Sera il 5 agosto 2015. La causa ipotizzata era il botulismo aviario, intossicazione che colpisce gli uccelli causata dall’ingestione di una tossina prodotta dal batterio Clostridium botulinum, generato da materiale organico putrefatto. Per comprendere meglio le implicazioni sanitarie, vi rimandiamo a un articolo di Roberto Garavaglia sul sito naturalista ebnitalia (clicca qui). Eccone qui la sintesi finale “ La tossina botulinica di tipo C è letale per gli uccelli in generale e, per il suo ciclo vitale, colpisce particolarmente gli acquatici: anatre e oche per prime, ma anche limicoli, gabbiani e aironi. Tra i mammiferi, risultano sensibili roditori, bovini e cavalli, anche se si conosce un solo caso di intossicazione del bestiame domestico, legato ad un episodio di botulismo aviare: si trattava di bovini che, abbeverandosi, hanno accidentalmente ingerito larve di mosca che galleggiavano sull’acqua. Nell’uomo, il cui organismo è generalmente considerato resistente alla tossina di tipo C, sono stati riscontrati due soli casi di questo tipo di botulismo; la tossina di tipo E, presente nei pesci, potrebbe essere dannosa per l’uomo ma, essendo termolabile, viene distrutta dalla cottura. Sono noti anche pochi casi che hanno interessato i cani”.
Quindi se per noi umani non sembrano esserci possibilità di contaminazione, lo stesso non può dirsi per i nostri amici a quattro zampe. Un’ultima considerazione: questo articolo mostra una reazione delle strutture pubbliche ben più articolata ed efficace, tutto l’opposto di ciò che è avvenuto a Basiglio.
Parco Lambro, moria di anatre «Laghetto inquinato da botulino»
di Paola D’Amico
Lo stagno del parco Lambro è off limits. Il nucleo tutela animali della Polizia locale martedì mattina ha delimitato la vasta area con un nastro di protezione. Nessuno dovrà avvinarsi a quello specchio d’acqua, che giorni di siccità e caldo eccezionale potrebbero avere trasformato in una trappola mortale. In pochi giorni, in quella fossa che sta tra la via Feltre e il fiume, all’ingresso del polmone verde, e che si riempie d’acqua quando il Lambro si gonfia per le piogge diventando così un’isola di biodiversità, sono morte decine di anatidi, altrettanti sono stati trovati agonizzanti. Ai soccorritori, che per due giorni hanno lavorato per trarre in salvo i selvatici, sono sfuggiti i piccoli anatroccoli, che ieri mattina sembravano giocare a nascondino con il canotto dei vigili del fuoco. Le anatre agonizzanti sono state portate, con l’aiuto di Enpa e della polizia provinciale, all’oasi del Wwf a Vanzago, per essere curate. Sul posto, per raccogliere materiale da fare analizzare hanno lavorato gli esperti di Arpa e i veterinari della Asl di Milano. La dottoressa Nicoletta Schiavini spiega: «Un’ipotesi è che a causare la morte degli animali sia stato il botulismo aviare, che può colpire le zone umide, in particolari circostanze. Ma non possiamo escludere un altro tipo di avvelenamento. Per questo l’area rimarrà interdetta al pubblico». Arpa procederà ad esaminare l’acqua dello stagno. Gli esperti dell’Istituto zooprofilattico cercheranno a 360 gradi la presenza di altre sostanze tossiche e veleni.