Allevamenti insostenibili:
Legambiente li denuncia
alla Commissione Europea
19 febbraio 2020. Volumi crescenti e ingestibili di liquami zootecnici inquinano suolo, acqua e aria Campi agricoli usati come siti per smaltimenti all’aria aperta
Ogni anno la stagione fredda, in Pianura Padana, ripropone il “tormentone” dei liquami zootecnici: milioni di tonnellate di materie fecali e liquidi maleodoranti prodotti dagli allevamenti intensivi, soprattutto di bovini e suini, in attesa del momento adatto per essere distribuite sui campi: in inverno la terra agricola non è in condizioni di riceverle, perché satura d’acqua o addirittura ghiacciata, le vegetazioni sono in fase di riposo, e quindi non possono assimilarne i nutrienti, ma le cisterne di stoccaggio inesorabilmente traboccano dei liquidi drenati da stalle e porcilaie sempre più immense.
Questo inverno la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la circolare alle regioni con cui il Ministero delle Politiche Agricole, in dicembre, per venire incontro agli allevatori, ha autorizzato l’impiego di liquami anche nei mesi di dicembre e gennaio, mesi in cui – per rispettare la direttiva europea – vige il divieto di spandimento. Con il risultato di produrre immensi sciacquoni luridi, che hanno formato estese paludi maleodoranti e colature schiumose nei corsi d’acqua della ‘bassa’ padana ed in particolare nelle province della Lombardia, la regione più solerte nell’attuazione della circolare ministeriale. Tra gli effetti immediati, oltre alle proteste di residenti e comitati, anche un repentino aumento dei valori atmosferici del PM10 nei giorni centrali di gennaio, uno dei periodi di aria più inquinata del decennio.
Questa circolare, che Legambiente aveva invano chiesto di ritirare, è al centro della denuncia fatta dalla stessa associazione ambientalista e trasmessa oggi agli uffici della Commissione Europea, contestandone la violazione di ben quattro direttive, in materia di acque, aria, rifiuti e inquinamento da nitrati.
“Gli spandimenti selvaggi che abbiamo descritto nella denuncia alla UE- dichiara Damiano Di Simine, Coordinatore della presidenza del comitato scientifico nazionale di Legambiente – non possono in nessun caso essere spacciati per pratiche agricole: si è trattato di attività di smaltimento di rifiuti pericolosi su vasta scala, avvenuta con il benevolo assenso del MIPAAF, ma con effetti deleteri per la salute e per gli ambienti acquatici. Non siamo più disposti a tollerare pratiche nocive da parte di una zootecnia che, in Pianura Padana, ha passato il limite. Invece di autorizzare sversamenti di liquami, il MIPAAF dovrebbe predisporre con le regioni un programma nazionale di riduzione dell’intensità di allevamento in Pianura Padana, trasferendo le risorse comunitarie a beneficio della zootecnia sostenibile e delle aree interne. Nella prossima programmazione dei fondi europei per l’agricoltura, se davvero si vorranno perseguire le sfide climatiche ambientali della riforma PAC, occorrerà un deciso taglio ai sussidi dannosi destinati agli allevamenti intensivi”.
Legambiente ricorda che nelle 4 regioni della pianura Padano-Veneta si concentra oltre l’85% di tutti i suini allevati in Italia, e oltre i 2/3 di tutti i bovini nazionali. Una densità di animali allevati che ha pochi eguali in Europa e che rappresenta, in termini di massa biologica, l’equivalente in peso di 50 milioni di esseri umani, come dire oltre il doppio della popolazione residente. Ma mentre le umane deiezioni vengono intercettate dalle fognature e trattate dai depuratori, per gli animali allevati non c’è alternativa allo spandimento sui campi: una pratica che funziona, quando le quantità sono appropriate e le colture richiedono fertilizzanti. È d’inverno che i liquami diventano un incubo, per gli allevatori che vedono riempirsi le cisterne, ma soprattutto per le popolazioni residenti, che devono sopportare miasmi e inquinamenti, gravi e dannosi per la salute: le deiezioni zootecniche sono all’origine delle emissioni di ammoniaca, gas che si combina con i micidiali NOx per formare sali d’ammonio, che compongono fino al 50% del particolato sottile per cui l’Italia è sotto procedura d’infrazione europea, ‘per avere omesso di prendere misure appropriate per ridurre i periodi di superamento’. E se rendono l’aria irrespirabile, non va meglio per l’acqua: i composti azotati in eccesso infatti sono all’origine dell’inquinamento da nitrati di fiumi, canali e falde acquifere da cui attingono pozzi e acquedotti, un problema grave al punto da spingere l’Europa, già nel 1991, a promulgare una direttiva per la protezione delle acque da questo specifico inquinamento.