La strada delle Abbazie,
un itinerario non solo religioso
ma anche ricco di storia, natura e buon cibo
7 novembre 2019. Particolarmente coinvolgente per chi ama il medievo, il percorso della Strada delle Abbazie è di circa 100 km. Si tratta di un’attrazione unica anche per chi conosce la semplice gioia di visitare luoghi di culto di elevatissimo pregio: di certo è un’opportunità culturale assolutamente unica anche per gli appassionati non solo delle opere del Gotico lombardo, ma anche delle Abbazie benedettine, degli umiliati e dei cistercensi a sud di Milano, luoghi di fede e di preghiera, ma anche veri capolavori architettonici, artistici e centri di comunità monastiche, che hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo agricolo e culturale del milanese.
Un itinerario che permette di raggiungere, attraverso il Parco Agricolo Sud Milano e il Parco del Ticino, le Abbazie di Chiaravalle, Mirasole, Viboldone, Morimondo, la Basilica di Santa Maria in Calvenzano e le chiese di San Lorenzo in Monluè e di San Pietro in Gessate, conducendo alla scoperta di ambienti unici, costeggiati da rogge, canali, fontanili, navigli, mulini, stradine di campagna e meravigliose cascine e trattorie che offrono cibi deliziosi.
Di fatto, l’obiettivo del progetto è quello di promuovere i siti lungo la Strada delle Abbazie attraverso l’individuazione di un’offerta culturale, naturalistica ed enogastronomica. Il giro parte dal Duomo di Milano, si snoda nella periferia Est della città, tocca le abbazie poste più a sud e a ovest per poi tornare a Milano a San Pietro in Gessate.
Il Duomo di Milano, una cattedrale europea
Pur non facendo parte della strada delle abbazie, considerato che il video qui proposto la inserisce (ripreso da Mediaset), scriviamo anche della cattedrale di Milano. Nel luogo in cui sorge il Duomo un tempo si trovavano l’antica cattedrale di Santa Maria Maggiore, cattedrale invernale, e la Basilica si Santa Tecla, cattedrale estiva. Dopo il crollo del campanile, l’arcivescovo Antonio de’ Saluzzi, sostenuto dalla popolazione, promosse la ricostruzione di una nuova e più grande cattedrale (12 maggio 1386), che sorgesse sul luogo del più antico cuore religioso della città. Per il nuovo edificio si iniziò ad abbattere entrambe le chiese precedenti: Santa Maria Maggiore venne demolita per prima, Santa Tecla in un secondo momento, nel 461-62 (parzialmente ricostruita nel 1489 e definitivamente abbattuta nel 1584).
La nuova chiesa, a giudicare dai resti archeologici emersi dagli scavi nella sacrestia, doveva prevedere originariamente un edificio in mattoni, secondo le tecniche del gotico lombardo. Nel gennaio 1387 si gettarono le fondazioni dei piloni, opere colossali che erano state già progettate su disegno l’anno precedente. Durante il 1387 si continuarono gli scavi delle fondazioni e si continuarono i piloni. Ciò che fu fatto prima del 1386 venne tutto disfatto o quasi. Nel corso dell’anno il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, assunse il controllo dei lavori, imponendo un progetto più ambizioso. Il materiale scelto per la nuova costruzione divenne allora il marmo di Candoglia (un marmo di colore bianco – rosa o grigio, che viene estratto dalle omonime cave site in Val d’Ossola) e le forme architettoniche quelle del tardo gotico di ispirazione renano-boema. Il desiderio di Gian Galeazzo era infatti quello di dare alla città un grandioso edificio al passo con le più aggiornate tendenze europee, che simboleggiasse le ambizioni del suo Stato che, nei suoi piani, sarebbe dovuto diventare il centro di una monarchia nazionale italiana, come era successo in Francia e in Inghilterra, inserendosi così tra le grandi potenze del continente. Non ci dilunghiamo oltre sulla cattedrale di Milano, in quanto già presente in ogni guida turistica.
La chiesa di San Lorenzo a Monluè
Di origini antichissime (era detto Mons luparium o “monte dei lupi”), ospitò dal XIII al XVI secolo un monastero dei frati dell’ordine degli Umiliati e successivamente si tramutò in una cascina agricola. Questo complesso venne fondato nel 1267 dagli Umiliati di santa Maria di Brera: una cascina a corte chiusa con gli edifici monastici e i rustici agricoli, circondati da prati irrigui permanenti e da arativi, a formare una grangia (la grangia o grancia indicava originariamente una struttura edilizia utilizzata per la conservazione del grano e delle sementi e poi il complesso di edifici costituenti un’azienda agricola e, solo in seguito, indicò una vasta azienda produttiva, per lo più monastica).
L’intero impianto è ancora ben riconoscibile, sebbene frazionato, e rappresenta uno dei migliori esempi sopravvissuti di quel tipo di organizzazione. Con lo scioglimento dell’ordine da parte di san Carlo Borromeo (1571), il borgo passò per diverse proprietà, fino a entrare a far parte (inizi del XX secolo) del patrimonio del Pio Albergo Trivulzio. La località di Monluè costituiva una parrocchia di un migliaio di abitanti stretta fra Lambrate a nord e Monsenchio a sud. Il borgo, a causa del suo isolamento, si è spopolato prima e dopo la seconda guerra mondiale. A decretarne la morte definitiva la realizzazione della Tangenziale est, aperta al traffico nel 1971, che isolò completamente l’antico borgo agricolo, stretto fra quest’ultima, il fiume Lambro e l’Aeroporto di Linate, dal resto della città. L’area verde che lo circonda è il Parco Monluè.
Oltre il borgo nel suo assieme, di rilievo particolare la piccola abbazia di San Lorenzo, fondata nel 1267, che fa parte di un gruppo di chiese comprendenti San Lorenzo in Monluè, Beata Vergine Addolorata in Morsenchio, San Galdino e San Nicolao della Flüe, e la grande corte della cascina con al centro un pioppo monumentale, il cui spazio il demanio comunale concede in affitto per i più diversi eventi.
Abbazia di Chiaravalle
Il 10 ottobre 1134 giunsero in Lombardia i primi monaci cistercensi, provenienti dalla località di Moiremont, vicino a Digione, che si stabilirono a Coronate nella Pieve di Abbiategrasso. Un altro gruppo di cistercensi, provenienti invece da Clairvaux, giunse all’inizio del 1135 a Milano, ospiti dei benedettini di sant’Ambrogio, in sostegno di papa Innocenzo II nella disputa contro l’antipapa Anacleto II, che allora contrapponeva anche il resto della Lombardia contro la città di Milano. San Bernardo di Clairveux, giunto nella città di Milano, convinse i milanesi a sostenere papa Innocenzo II, mettendo fine alla disputa papale e alla lunga guerra che aveva contrapposto Milano al resto della Lombardia. Le autorità milanesi per riconoscenza al santo si impegnarono a costruire un grande monastero; costruzione poi portata avanti proprio da Bernardo, che posizionò il complesso a 5 km da Porta Romana, in una zona paludosa, poi bonificata dai monaci, a sud della città chiamata Roveniano o Rovegnano. Lasciò quindi sul posto un gruppo di confratelli con lo scopo di raccogliere fondi utili alla costruzione della chiesa.
Le prime strutture realizzate dai religiosi furono provvisorie, e solo tra il 1150 e il 1160 venne iniziata la realizzazione della chiesa attuale, che poi si protrasse per circa settant’anni, fino al 1221; di quella originaria del 1135 non rimane oggi alcuna traccia. Il 2 maggio 1221 il vescovo di Milano Enrico I da Settala consacrò la chiesa a Santa Maria; nell’angolo nord-est del chiostro si può trovare, scritta in caratteri semigotici, la lapide posta in quella occasione.
Durante il XIII secolo i lavori proseguirono nella realizzazione del primo Chiostro, situato a sud della chiesa. In seguito, nel XIV secolo, venne realizzato il tiburio e il refettorio. Nel 1412 venne costruita per volere dell’abate una piccola cappella, posizionata in corrispondenza del transetto meridionale, rimaneggiata nel XVII secolo e oggi utilizzata come sacrestia.
Nel 1442 l’abbazia venne mutata In commendam, affidata all’abate Gerardo Landriani, per passare nel 1465 sotto la guida di Ascanio Maria Sforza Visconti, fratello di Ludovico il Moro. Nel 1490, il Bramante e Giovanni Antonio Amadeo iniziarono a costruire il Chiostro Grande e il capitolo o sala capitolare: nel rinascimento molti pittori e artisti lavorarono all’abbazia; a questo periodo risalgono anche le opere di Bernardino Luini. Più tardi, dal 1613 al 1616, i Fiammenghini ebbero l’incarico di decorare le pareti interne della chiesa, che vennero letteralmente ricoperte di affreschi visibili anche oggi. La storia continua…con la visita all’abbazia, che propone immensi tesori d’arte.
Abbazia di Mirasole (Opera)
Il nome dell’Abbazia deriva dal nome del villaggio – vicus – Mirasole, nel quale era situata. Certamente, per la presenza di un luogo religiosamente significativo come un’Abbazia, il nome Mirasole assume anche un’allusione diversa, evocando la tensione della vita ascetica a tenere lo sguardo fisso a Cristo, sole della vita. La grangia di Mirasole nacque a cavallo tra il XII secolo e i primi anni del XIII ad opera dei fratelli Umiliati, con una comunità di soli laici. Gli Umiliati, nel 1201 riconosciuti da papa Innocenzo III come vero e proprio ordine, si diffusero in tutta la Lombardia, fondando numerose case – tra cui Mirasole – e inserendosi nel progetto di bonifica agricola e spirituale che portò a cingere Milano da una corona di Abbazie. La regola degli Umiliati era un’assoluta novità, in quanto adattava i precetti benedettini e agostiniani all’intensa attività lavorativa dei propri membri, in particolare nell’ambito della lavorazione della lana. Gli Umiliati sono stati i primi nella storia della chiesa ad avere un terz’ordine, i cosiddetti terziari, cioè laici riconosciuti parte integrante dell’ordine religioso, pur vivendo nelle proprie case. Nel 1482 Mirasole fu ridotta a commenda, quella disposizione ecclesiastica per la quale il papa concede una carica che si rende vacante, per esempio quella di abate, ad un religioso o ad un laico che gode le rendite dell’Abbazia senza diventarne il titolare e potendo amministrare il bene tramite un suo rappresentante. A seguito del fallito attentato a San Carlo Borromeo, da parte di un umiliato della casa di Brera, nel 1571 papa Pio V abrogò l’ordine degli Umiliati. Nel 1582 la proprietà dell’Abbazia di Mirasole passò al Collegio Elvetico di Milano, istituito da papa Gregorio XIII per l’istruzione del clero svizzero. Qui terminò, dopo oltre tre secoli, la vita monastica di Mirasole e, tranne la chiesa e il chiostro, tutti gli edifici abbaziali furono destinati a fittavoli e salariati. Le successive vicende storiche ed architettoniche di Mirasole furono influenzate da Napoleone. Conclusa la campagna d’Italia, nel 1797 Napoleone soppresse il Collegio elvetico e donò l’Abbazia, completa di fondi e podere, all’Ospedale Maggiore di Milano, per ricompensarlo dell’assistenza prestata ai suoi soldati malati e feriti. Nei primi anni dell’Ottocento il fittavolo dei terreni, che occupava tutto l’edificio padronale, fece edificare il portico neoclassico con terrazzo e addirittura trasformò il chiostro nel cortile della sua abitazione. Nel 1876 l’Ospedale ottenne dalla Curia Arcivescovile di Milano una riduzione delle Messe, a causa dell’insufficienza delle elemosine; nel 1903 si dichiarò chiusa la Chiesa alle funzioni di culto e, da questo momento, cominciò un lungo periodo nel quale Mirasole fu abitata esclusivamente dalle famiglie contadine. Le ultime risalgono agli anni ‘50. L’Ospedale promosse un primo intervento di restauro nel 1930 e, nel 1964, un altro di maggiore portata. Negli anni ’80 i definitivi lavori, grazie all’opera di Franca Chiappa, benefattrice dell’Ospedale. Attualmente, grazie a un bando dell’Ospedale Maggiore, l’Abbazia è stata data in affidamento a due enti non profit (Progetto Mirasole e Fondazione Progetto Arca), che si occupano delle attività di residenzialità sociale, di reinserimento lavorativo e valorizzazione culturale del complesso abbaziale.
La chiesa
I primi Umiliati di Mirasole intitolarono la chiesa, che avevano trovato già edificata, ad un santo appena proclamato sugli altari: Pietro da Verona, frate predicatore ucciso da un gruppo di eretici nel 1252 e canonizzato da Innocenzo IV l’anno successivo.
Anche la chiesa primitiva era a pianta rettangolare, ma di dimensioni più ridotte rispetto all’attuale. All’abside il campanile aderiva senza esservi incorporato.
Nel 1257 la chiesa diventa prepositurale (ovvero con privilegi speciali) e allo stesso periodo risalirebbe la costruzione e la decorazione della cella campanaria, a fianco dell’abside. Sulle pareti della cella campanaria si trovano le uniche testimonianze pittoriche del primo edificio: ombre di affreschi rappresentanti stelle a sedici punte. Dal 1288 la chiesa risulta intitolata alla Vergine. Nella prima metà del Quattrocento, viene ricostruita nella forma e nelle dimensioni odierne e specificatamente dedicata alla Vergine Assunta. La facciata fu completata alla metà del ‘400 con un oculo centrale e due monofore laterali, chiuse durante i restauri degli anni ‘60, eppure oggi identificabili nel profilo degli archi. Sul lato destro è visibile una formella: la parte superiore raffigura un Agnus Dei e richiama il simbolo degli Umiliati. La parte inferiore è una scena claustrale. Nei restauri del 1964 si decise di recuperare l’oculo quattrocentesco che il Collegio Elvetico aveva sostituito con una grande finestra policentrica, a fianco della quale era collocata una meridiana. Nella seconda metà del Quattrocento – durante la ricostruzione della chiesa nella forma e nelle dimensioni odierne – fu aggiunto il chiostro, addossandolo al lato ovest della chiesa. Il chiostro è il punto nevralgico di ogni comunità religiosa, il luogo di maggior richiamo personale e comunitario. È uno spazio chiuso, come richiama l’etimologia latina claustrum, ma aperto verso il cielo: per tendere a Dio, i monaci hanno bisogno di essere separati dal mondo, ma anche di essere in relazione tra di loro. La forma obbligatoriamente quadrangolare è legata al significato del numero quattro che, nella cultura antica, è il numero che esprime l’universo: 4 i punti cardinali; 4 i venti; 4 le stagioni; 4 gli elementi fondamentali, che sono nel chiostro non soltanto rappresentati ma riprodotti: la terra che vi è coltivata, l’acqua che vi sgorga (a Mirasole il pozzo è andato perduto), l’aria in cui è avvolto, la luce da cui è inondato. 4 sono anche gli obiettivi del percorso ascetico monastico: allontanamento dal mondo, allontanamento da sé, amore al prossimo e amore a Dio, indicati dai 4 lati a colonnato.
I 4 colonnati non partono da terra, ma da una base muraria che simboleggia la pazienza: la pazienza, rappresentata dal muro, è la condizione per i passi del monaco. Ogni colonnato di Mirasole è composto da 7 colonne, per richiamare i momenti quotidiani della preghiera, così come indicato nella Regola di San Benedetto: “Sette volte al giorno ti ho lodato”, dice il santo. Questo sacro numero di sette sarà adempiuto in noi, se assolveremo i doveri del nostro servizio alle Lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e Compieta» (Regola di San Benedetto, Capitolo XVI, 1-3).
In 4 parti, infine, è ripartito il giardino, per simboleggiare i 4 passi della spiritualità claustrale, che accompagnano il monaco nell’esperienza del paradiso terrestre: la contemplazione della creazione (Giardino dell’Eden); la contemplazione dell’incontro tra Dio e l’uomo (Giardino del Cantico dei Cantici); la contemplazione della passione di Cristo (Giardino degli Ulivi); la contemplazione della resurrezione (Giardino di Pasqua). Dal chiostro si accede a tutti gli altri ambienti – la sala capitolare,
la chiesa, il refettorio, le celle, l’infermeria, la biblioteca – per simboleggiare che questo luogo è come una cittadella di Dio,
una Gerusalemme celeste dove il monaco trova tutto ciò che serve per le esigenze dell’anima, dell’intelletto e del corpo.
Abbazia di Viboldone (San Giuliano Milanese)
Fu fondata nel 1176 e completata nel 1348 dagli Umiliati, un ordine religioso formato da monaci, monache e laici che, attorno all’attuale chiesa, conducevano vita di preghiera e di lavoro, in particolare fabbricando panni di lana e coltivando i campi con sistemi di lavorazione assolutamente innovativi. Dopo la soppressione degli Umiliati voluta da Carlo Borromeo, l’abbazia passò ai Benedettini Olivetani, successivamente soppressi dal governo austriaco e costretti ad abbandonare l’abbazia.
Nel 1940 il cardinale Ildefonso Schuster, dopo anni di abbandono, ha offerto l’abbazia a una comunità di religiose guidata da Margherita Marchi, separatasi dalla congregazione delle Benedettine di Priscilla. Il monastero sui iuris delle benedettine di Viboldone fu canonicamente eretto il 1º maggio 1941: le monache si dedicano alla produzione di confetture e, dal 1945, svolgono un’importante attività di editoria religiosa e teologica, oltre agli impegni di natura più strettamente monastica.
Nel 1965 Paolo VI ordinò che vi fosse trasferito l’abate di Monserrat, Aureli Maria Escarré, per sottrarlo alla persecuzione franchista. Per molti anni, cappellano della comunità delle benedettine è stato Luisito Bianchi (1927-2012).
Architettura
Esterno La facciata è a capanna, caratteristica per le bifore aperte sul cielo, con tessitura muraria in mattoni a vista, solcata da due semicolonne che la tripartiscono, con decorazioni di pietra bianca. Il portale è in marmo bianco. Nella lunetta che ne sovrasta l’architrave si trovano sculture marmoree della Madonna con bambino fra i santi Ambrogio e Giovanni da Meda dello scultore genericamente indicato con il nome di Maestro delle sculture di Viboldone. Ai lati, due nicchie gotiche racchiudono le statue dei santi Pietro e Paolo. Il portone della chiesa è di legno scuro, decorato con grandi costoloni lignei e grossi chiodi, e risale all’epoca della costruzione della facciata. In esso è ricavato un piccolo portoncino che è usato per l’ingresso in chiesa.
Campanile Originale è il campanile, a cono cestile, che si innalza sopra il tiburio della chiesa, secondo la tradizione cistercense. Esso richiama l’impianto cromatico e decorativo della facciata, con cornici in cotto e archetti alla base delle bifore e delle trifore sormontate da oculi. La sobrietà degli elementi architettonici all’interno della chiesa la farebbe dire quasi spoglia, se non fosse per la decorazione pittorica che la ricopre per buona parte a rivestirla di luci e di colori.
Interno della chiesa L’impianto della chiesa è a sala rettangolare, a tre navate di cinque campate ciascuna, inquadrate in archi trasversali a sesto acuto. Prima campata in stile romanico e le successive, realizzate nel corso del Duecento, in stile gotico con colonne in cotto che sorreggono alte volte a crociera. La chiave di volta, al centro delle crociere, è circondata da spicchi racchiusi in un cerchio, con i colori dell’arcobaleno, segno dell’amicizia di Dio con gli uomini. Le colonne che scandiscono le navate sono in laterizio, con capitelli dello stesso materiale a cubo scantonato.
Affreschi La chiesa accoglie numerosi e celebri affreschi, opere di Scuola giottesca. Nella parete frontale del tiburio è raffigurata, al centro, la Madonna in Maestà e Santi, datata al 1349. Sulla parete che la fronteggia è campito il Giudizio Universale attribuito a Giusto de’ Menabuoi, che potrebbe risalire ad anni subito precedenti il 1370 (per quanto alcuni studiosi propendano per una data vicina al 1350); al suo centro, avvolto nella mandorla iridescente, la figura dolcissima del Cristo; alla sua destra stanno i “benedetti”, con il volto proteso verso il Giudice, e alla sinistra i “dannati” su cui giganteggia la figura di Satana intento a divorare la preda. Sulla metà superiore della parete, due angeli sono intenti ad arrotolare il tempo della storia, facendo intravedere alle spalle la Gerusalemme Celeste.
Sala della Musica Al primo piano della palazzina che fiancheggia la chiesa, si affaccia sul piazzale, con due finestre, la Sala della Musica, singolare testimonianza iconografica degli strumenti musicali in uso a Milano tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento. Gli affreschi in essa conservati rendono l’immagine di un portico, dove lesene scanalate ripartiscono dodici finestre che contengono ogni sorta di strumenti musicali a monocromo di terra rossa con ombreggiature nere e ombre di color ocra su fondo bianco. Gli strumenti, dipinti a grandezza reale, sono disposti a coppie incrociate secondo uno schema a trofeo che evidenzia la centralità dell’immagine, la simmetria e l’assenza di gravità tipica delle grottesche, particolare tipo di decorazione pittorica parietale che affonda le sue radici nella pittura romana di epoca augustea.
Nulla o quasi resta dell’antico monastero.
Santa Maria in Calvenzano (Vizzolo Predabissi)
La chiesa copre altre due precedenti edifici religiosi. Quella che è attualmente la terza chiesa è di fondazione cluniacense ed è dedicata a Santa Maria Assunta. È sita in Vizzolo Predabissi nella frazione di Calvenzano. Un documento del 1093 attesta che in quell’anno la famiglia “de Meregnano” ebbe autorizzazione a cedere una sua chiesa di Calvenzano ad una comunità cluniacense: due anni dopo questa l’aveva già trasformata in abbazia. Nel 1558, tuttavia, il monastero fu ridotto a commenda e in seguito passato al Capitolo milanese. Tipicamente lombardo è il cotto usato per l’edificio. Sulla facciata tardo-quattrocentesca, il portale conserva rilievi del XII secolo. Nell’abside resta un affresco di metà ’300. Vuole la tradizione che qui, nel 524, sia stato messo a morte il filosofo e senatore romano Severino Boezio.
La chiesa cluniacense è in stile romanico, con tre navate e una serie di pilastri alternati, forti e deboli.
Due caratteristiche di questa chiesa: le pietre, utilizzate nella costruzione in mattoni, dette di “reimpiego”, una sorta di riciclaggio dei tempi antichi; l’”opus spicatum”, cioè la disposizione dei mattoni, posati “a spina pesce”. Anche quest’ultima tecnica serve, non solo a decorare, ma anche a riutilizzare differenti tipi di mattoni, provenienti da costruzioni precedenti o da crolli. Da osservare in loco sono due cicli di immagini: il portale e l’affresco dell’abside.
Morimondo
Quarta fondazione italiana e prima in Lombardia, la chiesa abbaziale di Morimondo si scosta da tutte le altre edificazioni cistercensi del XII secolo. L’aver dovuto posticipare fino al 1182 gli inizi dei lavori di edificazione della chiesa, ha fatto sì che si fruisse delle esperienze delle abbazie iniziate prima e terminate in poco tempo. La grande differenza con le altre abbazie cistercensi consiste essenzialmente in un maggior slancio dato dalle navate con volte a ogiva secondo il nascente stile gotico.
Già dall’esterno la chiesa di Morimondo si caratterizza per il suo stile tipicamente cistercense con contorni netti e geometrici, particolarmente accentuati nella forma rettangolare dell’abside, che permettono di individuare la distribuzione delle navate, la pianta a croce latina e nel transetto la presenza di due cappelle per braccio. All’incrocio del transetto con la navata centrale s’innalza un tiburio ottagonale. Questa piccola torre campanaria, secondo la regola cistercense, conteneva una sola campana, la cui corda pendeva attraverso un foro della volta nell’antico coro dei monaci, al centro della chiesa.
La facciata “a vento” è sporgente nella parte alta al di sopra del tetto con caratteristiche finestre aperte verso il cielo, che danno un senso di leggerezza ed eleganza, per l’accostamento del colore del cielo, sempre diverso, con il rosso dei mattoni.
Nella parte alta la facciata è decorata da bacini ceramici policromi, disposti a croce: elemento decorativo tipico dell’arte romanica in Pianura Padana, probabilmente essi testimoniano le attività benefiche dei monaci a favore di mendicanti e pellegrini, ai quali offrivano cibo e ospitalità. Intorno al perimetro esterno gira una fascia di archetti pensili, motivo tra i più caratteristici dell’architettura lombarda del tempo, forse simbolo della comunione dei santi.
L’interno presenta la particolare essenzialità cistercense, totale mancanza di decorazioni, armonia delle proporzioni ed eleganza nelle opere murarie nonostante la povertà dei materiali. L’architettura denuncia un’influenza gotica nell’elevazione, nell’uso della volta a crociera e dell’arco a sesto acuto, sebbene la presenza di archi a tutto sesto e di possenti colonne documentino il persistere di un legame con la tradizione romanica. Le navate sono divise da colonne di diversa forma sopra le quali si ergono colonnette poggianti su capitelli di pietra chiara lavorati in vari modi. La parte absidale, non più corrispondente al disegno originario, è stata sopraelevata per volere di San Carlo, poco dopo la visita pastorale del 1573, e ulteriormente decorata nel Settecento con il rifacimento dell’altare marmoreo. Appartengono al primitivo impianto la scala, che anticamente portava al dormitorio, e la porta, che mette in comunicazione la chiesa con il chiostro, detta dei monaci coristi.
Come opere d’arte degne di nota, oltre al coro ligneo e ai dipinti, dei quali si dirà in seguito, troviamo, entrando in chiesa sulla destra, l’acquasantiera formata dall‘originario lavabo del chiostro del secolo tredicesimo-quattordicesimo e, in una nicchia sempre alla destra, il crocifisso ligneo da datarsi alla seconda metà del secolo quindicesimo, attribuibile forse a un maestro toscano. La porta che immette alla sacrestia presenta tutto attorno una pregevole decorazione in terracotta con motivi rinascimentali da ricondurre ai modelli eseguiti dal Bramante durante il suo soggiorno milanese alla fine del Quattrocento.
San Pietro in Gessate a Milano
Questa chiesa esisteva fin dal 1256 e dipendeva dall’ordine degli Umiliati. Passata, a seguito della soppressione di quest’ordine, ai Benedettini di S. Giustina di Padova, si trasformò tra il 1447 e il 1475 grazie al contributo del banchiere fiorentino Pigello Portinari. Posta al fondo di un ampio sagrato alberato, la chiesa di San Pietro in Gessate, bell’esempio di architettura del Quattrocento lombardo, è stata eretta in prossimità di un antico convento del XIII secolo dedicato ai santi Pietro e Paolo. Progetto ed esecuzione vengono generalmente attribuiti a Guiniforte o Pierantonio Solari. Nel 1493 la chiesa divenne abbazia.
Molto danneggiata dalle bombe durante la II Guerra Mondiale, conserva ancora preziose testimonianze della pittura lombarda della fine del XV secolo: le cappelle che affiancano le navate ospitano opere di Agostino De Mottis, figlio d’arte il cui padre, Cristoforo, fu attivo anche nel Duomo di Milano; Donato Montorfano, anch’egli figlio d’arte il cui nonno -così come il padre e il fratello- furono impiegati nella Fabbrica del Duomo, e soprattutto Bernardino Butinone e Bernardo Zenale, che affrescarono con storie di Sant’Ambrogio la Cappella Grifi, in cui è sepolto il committente Ambrogio Grifi, ritratto con impressionante realismo da Benedetto Briosco. La facciata è il prodotto di un restauro del 1912 a opera di Diego Brioschi, che ha conservato il portale originario.