Falchi pecchiaioli e altri rapaci migratori in calo
secondo i dati del Campo estivo di San Colombano
Globalmente, un terzo degli uccelli scomparsi in 50 anni
8 ottobre 2019. Memorizzate se possibile questo numero: 2,9 miliardi di uccelli persi in questi ultimi cinquant’anni nel solo Nord America, scomparsi a causa delle attività umane. Dato che rappresenta bene, come vedremo, la tendenza alla diminuzione riscontrabile anche in altri continenti.
Con tale premessa assume un senso maggiore il lavoro di osservazioni svolto da volontari sulle colline di San Colombano, teso a rilevare il passaggio dei rapaci migratori. Quella di questa estate è stata la 15esima esperienza, e in due settimane si è assistito al passaggio di 2.260 falchi pecchiaioli, 21 falchi di palude, 6 nibbi bruni e una albanella minore. Le osservazioni hanno riguardato altri uccelli in migrazione: alcune cicogne nere, pavoncelle, rigogoli, nonché decine di rondoni comuni e maggiori. Rispetto allo scorso anno il calo è stato impressionante (-45%), diminuzione non confermata però da altre rilevazioni in Pianura Padana. È molto difficile fornire spiegazioni a simili dati, in mancanza per ora di analisi più complesse: un’interpretazione dei bird-watcher locali è che il clima quest’estate abbia generato un più vasto sviluppo di correnti termiche ascensionali, permettendo ai volatili di scegliere tra un maggior numero di rotte.
Il brutto segnale che viene dall’America
Per capire come sta un ecosistema, uno dei primi elementi da valutare è l’abbondanza delle specie. Per farlo, sono necessari dati il più possibile ampi e costruiti in un lungo arco di tempo. È il caso di un nuovo studio, pubblicato su Science, che analizza la quantità dell’avifauna negli Stati Uniti e in Canada negli ultimi cinquant’anni. I risultati sono sconfortanti: si registra una perdita del 29 per cento dell’avifauna, corrispondente a quasi tre miliardi di uccelli.
Secondo gli scienziati, tra le più colpite vi sono le specie che abitano le praterie, la cui popolazione si è ridotta del 53 per cento, ma anche gli uccelli costieri, che hanno perso un terzo della loro popolazione. L’analisi dei dati raccolti dalle stazioni radar ha poi rivelato un calo del 14 per cento degli uccelli migratori, concentrato negli ultimi dieci anni, soprattutto negli Stati Uniti orientali. Qualche segno di ripresa si registra per alcune specie acquatiche come anatre, oche e cigni.
La ricerca non ha indagato le cause del declino, ma gli autori segnalano che procede anche in altre parti del mondo, a suggerire che siano diverse cause a concorrere nel diminuito successo della riproduzione e nell’aumento della mortalità. I fattori che più concorrono a questo processo sono l’urbanizzazione, che determina la perdita di habitat per gli animali. Altri studi hanno inoltre evidenziato il ruolo dell’uso dei pesticidi (che elimina una delle principali fonti di cibo per molti atri animali), la predazione da parte dei gatti, nonché la collisione con infrastrutture e strumenti umani. Per quanto riguarda gli uccelli migratori, inoltre, è noto che cambiamenti climatici possono influenzare negativamente i viaggi di questi animali, e che l’inquinamento luminoso può distoglierli dalle rotte e determinare alterazioni comportamentali.
Va anche segnalato un’estensione del bracconaggio in Nord Africa e Medio Oriente, collegato all’acuirsi di crisi belliche e alimentari.
Un’ultima considerazione: ci piace parlare dell’impegno dei nostri ornitologi e bird-watcher, che può essere forse considerato futile da molti, rispetto ai problemi che attanagliano il territorio, ma che riveste un’importanza strategica, anche se poco evidente. Mappare e valutare la ricchezza delle specie animali, anche in luoghi densamente popolati come la Pianura Padana, significa cogliere i valori naturali del territorio. Esserne consapevoli significa perciò essere consci della preziosità del territorio, per noi e per le generazioni future, e conoscere per tempo le crisi della nostra biodiversità.