Casa Chiaravalle, dalla mafia alla collettività.
Oggi è un luogo dove l’accoglienza
si intreccia con socialità, lavoro e agricoltura
28 maggio 2018. È ora il simbolo di una nuova idea di convivenza civile, di accoglienza, di integrazione. Casa Chiaravalle, a poche centinaia di metri dall’omonima Abbazia, con i suoi 1.300 mq di edifici, un terreno di circa 10 ettari, è il secondo bene per estensione confiscato nel 2012 alla criminalità organizzata nel Nord Italia. E, grazie ai lavori della rete di imprese sociali Passepartout, è oggi uno dei migliori esempi di “recupero” delle migliaia di beni sottratti alla mafia.
La villa, di circa 1.300 mq, apparteva “al boss della zona”, arrivato a Milano dalla Calabria e arricchitosi con il traffico di droga, la messa in circolazione di banconote false e l’usura. Ma è stata trasformata in un luogo di accoglienza: da immobile sfarzoso, con arredi di pregio, marmi rosa e una sala da bagno di quasi 20 mq e vasca idromassaggio, distrutta dopo il sequestro, Casa Chiaravalle è stata ufficialmente inaugurata lo scorso 20 maggio, dopo lunghi lavori di ristrutturazione ed è oggi una sorta di condominio solidale, unico nel suo genere: è il risultato di un cammino condiviso tra Passepartout Rete di imprese sociali e dove socialità, agricoltura, accoglienza…
Casa Chiaravalle, dalla mafia alla collettività.
Oggi è un luogo dove l’accoglienza
si intreccia con socialità, lavoro e agricoltura
28 maggio 2018. È il simbolo di una nuova idea di convivenza civile, di accoglienza, di integrazione. Casa Chiaravalle, a poche centinaia di metri dall’omonima Abbazia, con i suoi 1.300 mq di edifici, un terreno di circa 10 ettari, è il secondo bene per estensione confiscato nel 2012 alla criminalità organizzata nel Nord Italia. E, grazie ai lavori della rete di imprese sociali Passepartout, è oggi uno dei migliori esempi di “recupero” delle migliaia di beni sottratti alla mafia.
La villa, di circa 1.300 mq, apparteva “al boss della zona”, arrivato a Milano dalla Calabria e arricchitosi con il traffico di droga, la messa in circolazione di banconote false e l’usura. Ma è stata trasformata da già da tempo un luogo di accoglienza: da immobile sfarzoso, con arredi di pregio, marmi rosa e una sala da bagno di quasi 20 mq e vasca idromassaggio, distrutta dopo il sequestro, Casa Chiaravalle è stata ufficialmente inaugurata lo scorso 20 maggio, dopo lunghi lavori di ristrutturazione ed è oggi una sorta di condominio solidale, unico nel suo genere: è il risultato di un cammino condiviso tra Passepartout Rete di imprese sociali (che riunisce La Cordata, FuoriLuoghi, Tuttinsieme, Progetto Integrazione e Genera) e i partner istituzionali (l’assessorato alle politiche sociali del Comune di Milano, la Città Metropolitana, MM società metropolitana milanese), il privato sociale e la società civile. Nella ristrutturazione si sono impegnati Passepartout, Bpm Spa e l’associazione Amici di Casa Chiaravalle.
Lavoro, accoglienza, legalità per un futuro condiviso
Tre le macro funzioni (socialità, agricoltura, accoglienza) del luogo, con l’intreccio costante tra cultura della legalità -e quindi anche funzione “educativa” del luogo- e cultura della promozione della persona e dei diritti: ecco la scommessa su cui si punta e che intende dimostrare come legalità e questione sociale siano facce della stessa medaglia.
Mettendo a frutto il potenziale di sviluppo di Casa Chiaravalle -7 ettari di terreno agricolo, 3 ettari di giardino, 700 mq di capannoni, 1.300 mq di immobili- l’obiettivo è di garantire alle 70 persone che vi vivranno un mix abitativo culturale e formativo unico. Attorno a loro gli operatori di Passepartout (una decina di persone con esperienze ad hoc garantiranno un presidio e un accompagnamento giornaliero costante), associazioni no profit e cittadini volontari contribuiranno alla crescita del bosco, di orti, di giardini, oltre che ad attivare percorsi di formazione lavoro. Come quello di sartoria, avviato con la donazione di quattro macchine per cucire (ricevute da NoWalls e Caterina Nicolano, responsabile della Sartoria di San Vittore), quello di Food Forest (in collaborazione con City Forest Community), che prevede la costruzione condivisa di un bosco naturale e workshop di permacultura, il progetto europeo Food Relations sul cibo come veicolo di dialogo interculturale in collaborazione con l’ong Acra e l’associazione Kamba Food, o ancora quello della scuola di italiano per le richiedenti asilo e le rifugiate (affidata a NoWalls e aperta anche ai residenti di origine straniera, abitanti nel territorio). Il progetto di accoglienza di Casa Chiaravalle, gestito da Passepartout, ha visto il contributo di molte altre realtà quali Agesci Lombardia, Altavia. Un importante contributo è arrivato anche dall’Associazione Il Borgo di Chiaravalle, l’Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani, il Centro Violenza sulle Donne della Mangiagalli, la Cooperativa Alice, la Cooperativa Terrenuove, MM Metropolitana Milanese (ente gestore delle case popolari del borgo con cui – si legge in una nota – è iniziata la riflessione e la condivisione di possibili progettazioni), NoWalls, S.C.I Servizio Civile Internazionale, gli Universitari Costruttori.
All’inaugurazione ufficiale erano presenti anche diverse autorità politiche. Ma è più coinvolgente lasciare la parola a Silvia Bartellini, presidente di Passeparout, che tanto impegno ha profuso per il progetto. “La sfida è dimostrare che le buone pratiche dell’accoglienza mettono in primo piano le persone con i loro bisogni e le loro risorse. Per noi ogni individuo è al centro del nostro pensiero e della nostra azione. Ed è proprio a partire da questo, che pensiamo a Casa Chiaravalle come emblema di un modello di riutilizzo di un bene confiscato alla mafia, restituito ai cittadini quasi a voler significare un riscatto che la società civile, nel suo insieme, si prende nei confronti della criminalità organizzata. Nel nome di un nuovo concetto di accoglienza diffusa, dove l’incontro tra le differenze tutte diventi un valore e non un problema. A Casa Chiaravalle s’imparerà a vivere insieme. Abbiamo pensato di dedicare questo spazio di accoglienza alle donne – anche se non saranno le uniche accolte per evitare ghetti – perché purtroppo, indipendentemente dal Paese di provenienza o dal ceto sociale, assistiamo quotidianamente a violenze di genere. Di fronte a quanto accade in Italia, dove oramai i femminicidi sono all’ordine del giorno, e alle inaudite violenze subite dalle donne migranti durante i loro viaggi, abbiamo pensato fosse necessario dedicare un posto di accoglienza e di cura a loro”.
Ecco un buon esempio di “fare la festa” alla mafia.