Aumentano sfratti e affitti
nei terreni agricoli nel Parco sud:
biogas e tasse tra i colpevoli
Forse è solo un problema locale, ma più probabilmente è il sintomo di un malessere generale. La Fondazione Collegio della Guastalla, primaria opera pia legata alla Curia milanese con sede a Binasco, è proprietaria, tra l’altro, di vasti appezzamenti agricoli a Binasco, Noviglio, Gaggiano, Vernate, Rosate, Zibido San Giacomo, tutti comuni del Parco Sud: dopo oltre 500 anni di gestione tranquilla, tesa ad assicurare entrate certe per le sue opere caritatevoli, poco più di un anno fa decide di non rinnovare il contratto in scadenza a 3 agricoltori che, vista l’intransigenza della proprietà, si sono affidati ad un sindacato agricolo. Quello che sembrava all’inizio un atto formale, si è trasformato in una mannaia, che mette in crisi attività agricole consolidate su fondi estesi ognuno per circa 50 ettari. Un pessimo segnale anche per gli altri sei agricoltori affittuari della Fondazione, che potrebbero a loro volta, a fine contratto, trovarsi senza proposte di rinnovo.
Senza fare dietrologia, proviamo a valutare qualche ipotesi sulle motivazioni di ciò che sta accadendo, per capire se questo può essere considerato il segnale di una situazione che può ampliarsi e coinvolgere altre aziende agricole del Parco Sud, e non solo.
Aumentano sfratti e affitti
nei terreni agricoli nel Parco sud:
biogas e tasse tra i colpevoli
Forse è solo un problema locale, ma più probabilmente è il sintomo di un malessere generale. La Fondazione Collegio della Guastalla, primaria opera pia legata alla Curia milanese con sede a Binasco, è proprietaria, tra l’altro, di vasti appezzamenti agricoli a Binasco, Noviglio, Gaggiano, Vernate, Rosate, Zibido San Giacomo, tutti comuni del Parco Sud: dopo oltre 500 anni di gestione tranquilla, tesa ad assicurare entrate certe per le sue opere caritatevoli, poco più di un anno fa decide di non rinnovare il contratto in scadenza a 3 agricoltori che, vista l’intransigenza della proprietà, si sono affidati ad un sindacato agricolo. Quello che sembrava all’inizio un atto formale, si è trasformato in una mannaia, che mette in crisi attività agricole consolidate su fondi estesi ognuno per circa 50 ettari. Un pessimo segnale anche per gli altri sei agricoltori affittuari della Fondazione, che potrebbero a loro volta, a fine contratto, trovarsi senza proposte di rinnovo.
Senza fare dietrologia, proviamo a valutare qualche ipotesi sulle motivazioni di ciò che sta accadendo, per capire se questo può essere considerato il segnale di una situazione che può ampliarsi e coinvolgere altre aziende agricole del Parco Sud, e non solo.
Indiziato numero uno: il biogas
In un primo momento, l’intransigenza della proprietà ha fatto pensare a un cambio di strategia netto: mandare via gli attuali agricoltori poteva spiegarsi bene con la volontà di effettuare un cambio radicale di attività, come lo sganciamento dalle produzioni alimentari per introdurre la monocoltura di granella di mais per i digestori di biogas, fonte rinnovabile che gode di buone sovvenzioni da parte dello Stato. Non è un caso se corrono voci che alcuni immobiliaristi proprietari di terreni agricoli abbiano preso in considerazione questa opzione, gestibile anche da operatori con scarse o nulle esperienze agricole.
Successivamente, a fine 2014, da parte della Fondazione Guastalla arrivano segnali per l’avvio di trattative che mirano ad alzare i prezzi degli affitti. Il fatto relega in secondo piano l’ipotesi che dietro le lettere di disdetta ci sia la volontà di passare massicciamente alla produzione di colture per il biogas. Anche perché, nel frattempo, stanno venendo meno le spinte economiche, ovvero forti incentivi statali, per avviare produzioni di biomassa su larga scala. Negli anni scorsi le politiche di sostegno al biogas hanno portato ad espandere a macchia d’olio su vaste aree della Pianura Padana monoculture di mais a bassa qualità, destinate a scopi energetici, tanto che, secondo le stime della Cia (Confederazione Italiana Agricoltori), circa il 30% dei 234mila ettari di campi di mais della Lombardia è attualmente dedicato alla produzione di “cibo” per queste centrali energetiche. Ma, come detto, le nuove norme sugli incentivi sono oggi orientate a promuovere e finanziare impianti tarati ai bisogni energetici delle aziende agricole che utilizzano liquami, scarti vegetali e animali per la produzione di biogas: quindi, non più prodotti agricoli.
Viene dunque meno l’ipotesi che sia ancora il biogas a “drogare” il settore agricolo, con quotazioni dei terreni agricoli e dei canoni annuali di affitto saliti alle stelle, con punte fino al 200%. Ma le lobby del settore stanno facendo pressioni sul Governo per una retromarcia almeno parziale. Intanto è già stata concessa una proroga di un anno.
Spinta all’insù per gli affitti: colpa delle tasse?
Sorprende che una “tranquilla” Fondazione dedita alla beneficienza porti subbuglio prima con l’ipotesi di non rinnovo di contratto e ora con sostanziose richieste di aumento degli affitti. Si vocifera di prezzi superiori ai 50 euro la pertica (che corrisponde a 654 mq), un balzo che corrisponderebbe ad aumenti dell’ordine del 20/40%. Valori che preoccupano, perché nel quadro attuale sono difficilmente sostenibili. Secondo i dati della Cia, i prezzi agricoli nell’ultimo anno sono crollati dell’11% rispetto al 2013 e i prezzi sui campi diminuiti del 5,5% tendenziale. Embargo russo, maltempo, fitopatie e calo delle consumazioni interne hanno fatto il resto, facendo crollare il valore delle coltivazioni dell’8,5%.
Se tali condizioni negative persistessero anche per i prossimi anni, stando al parere di agricoltori da noi interpellati, le aziende si troverebbero con la prospettiva del fallimento: con i livelli di affitto proposti, i margini di profitto sarebbero nulli o addirittura negativi.
“Di fatto -conferma Dario Olivero, presidente Cia Milano-Lodi-Monza- negli ultimi anni il fattore biogas ha scatenato una forte tensione sugli affitti agricoli. Ora che la situazione potrebbe normalizzarsi, non è trascurabile il rischio che i forti aumenti delle tasse sui fondi agricoli spingano i proprietari a rivalersi sui gestori dei terreni”.
Quale che siano le ragioni alla base del comportamento della Fondazione e, forse, in generale dei proprietari dei terreni, di fatto gli agricoltori rischiano di trovarsi schiacciati da logiche di mercato fuori controllo: da un lato ricavi sempre più bassi e dall’altro il sensibile aumento delle affittanze.
Un problema di non poco conto, che mette in difficoltà il settore agricolo del Parco Sud, e non solo. Noi e tutti coloro che amano e vivono questo territorio, non possiamo che essere dalla parte degli agricoltori.