Chi c’è dietro le trivelle di Zibido:
dati e numeri non tranquillizzano
Il tema dell’esplorazione petrolifera nel territorio del comune di Zibido San Giacomo è stato su questo sito affrontato da molte angolature. Cerchiamo questa volta di capire dai numeri se l’operatore ha le spalle robuste per affrontare la trivellazione in un’area delicata come quella di Zibido: a ridosso di case e a contatto con i terreni e le acque del Parco Agricolo Sud Milano.
Il permesso esplorativo è detenuto da Apennine Energy, società italiana posseduta al 100% dalla compagnia petrolifera britannica Sound Oil. Iniziamo col dire che non ci troviamo di fronte a dei colossi, anzi. Sound Oil è una lilliput tra i giganti, ed è a tutti gli effetti considerata una “small cap”, ovvero una società a bassa capitalizzazione: alla borsa di Londra vale 44,64 milioni di sterline, pari a poco più di 55 milioni di euro (fonte: la società finanziaria statunitense Bloomberg. Lo stesso vale per tutti i dati successivi, attinti a volte dal bilancio societario della compagnia petrolifera). Tanto per intenderci, l’Eni è 100 volte più grande.
Chi c’è dietro le trivelle di Zibido:
i numeri non tranquillizzano
Il tema dell’esplorazione petrolifera nel territorio del comune di Zibido San Giacomo è stato su questo sito affrontato da molte angolature. Cerchiamo questa volta di capire dai numeri se l’operatore ha le spalle robuste per affrontare la trivellazione in un’area delicata come quella di Zibido: a ridosso di case e a contatto con i terreni e le acque del Parco Agricolo Sud Milano.
Il permesso esplorativo è detenuto da Apennine Energy, società italiana posseduta al 100% dalla compagnia petrolifera britannica Sound Oil. Iniziamo col dire che non ci troviamo di fronte a dei colossi, anzi. Sound Oil è una lilliput tra i giganti, ed è a tutti gli effetti considerata una “small cap”, ovvero una società a bassa capitalizzazione: alla borsa di Londra vale 44,64 milioni di sterline, pari a poco più di 55 milioni di euro (fonte: la società finanziaria statunitense Bloomberg. Lo stesso vale per tutti i dati successivi, attinti a volte dal bilancio societario della compagnia petrolifera). Tanto per intenderci, l’Eni è 100 volte più grande.
Rimanendo sui dati economici, solo nel 2013 la società ha iniziato a produrre fatturato, ma resta in profondo rosso (6,3 milioni di perdite in sterline nel 2013, rispetto ai -13,3 del 2012). I dati più recenti vedono qualche miglioramento, ma limitato: nel primo semestre 2014, grazie alla crescita dei ricavi, le perdite sono di 2,1 milioni di sterline. In due anni e mezzo, la società si è mangiata oltre venti milioni di capitale. Visti gli alti costi delle trivellazioni (dell’ordine della decina di milioni di sterline), trovarsi di fronte anche a un solo pozzo sterile (così viene definito il mancato ritrovamento di gas naturale o petrolio) può significare un colpo durissimo.
Tutta concentrata in Italia… e ad alto rischio economico
Proprio l’alto rischio delle attività di perforazione (inteso come la probabilità di fare “un buco nell’acqua”) fa sì che le compagnie vadano a “spalmare” le attività su più fronti, così da limitare gli eventuali insuccessi. Ma Sound Oil si trova invece tutta concentrata in Italia, area petrolifera “matura”, dove cioè è stata effettuata molta esplorazione e dove perciò non sono attesi grandi ritrovamenti di idrocarburi. Solo la fiscalità molto favorevole (troppo favorevole, vedi l’articolo “Parco Sud, le trivelle petrolifere arrivano anche a Zibido S. Giacomo. Ne abbiamo davvero bisogno?“) attira ancora qualche piccolo operatore. Sound Oil detiene 18 licenze, (vedi figura) concentrate in Italia centro-meridionale, ma di queste solo due sono in produzione (più una terza in avvio). In parallelo con la critica situazione economica, anche i livelli produttivi e le riserve sono molto bassi, tali da non generare un’adeguata cassa per riassestare i bilanci in perdita. Continuando con i paragoni, le riserve di idrocarburi della compagnia inglese sono pari a 14 milioni di barili, mentre quelli di Eni sono 6,535 miliardi.
C’è anche un ulteriore aspetto delle modalità operative che lascia perplessi. Sempre per diversificare i rischi, le società petrolifere operano generalmente in “joint venture”, ovvero associandosi con altre imprese: i costi e i ricavi sono minori, ma si può così operare su più aree. Sound Oil sembra un giocatore al tavolo della roulette molto convinto del proprio istinto, che invece di giocare su più numeri (ad es. sul rosso o sui numeri pari), mette tutto il gruzzolo su un numero. Uscendo dalla metafora: la società inglese detiene il 100% dei permessi dove è presente. Se trova petrolio o gas le va bene, ma in caso di pozzi sterili sono guai: tutti i costi sono a suo carico.
Ultimo elemento non di poco conto. Per coprire i rischi di danni ambientali e per garantire il ripristino dei terreni dopo la trivellazione, la società presenterà una fidejussione. Ma, per ammissione degli stessi amministratori, non si tratterà di una fidejussione bancaria, bensì di una assicurativa. Non soldi sonanti, ma una sorta di polizza che offre meno garanzie e incertezze sui tempi.
Per concludere. La società che si propone di trivellare a Zibido è piccola (anzi piccolissima) e con i conti in rosso. È molto convinta di ciò che fa, ma rischia forte. Lasciamo ai cittadini la possibilità di riflettere se si sentono adeguatamente tranquillizzati da questi dati. Ma soprattutto speriamo che gli Amministratori locali (in primis la Regione Lombardia) valutino attentamente in quali mani si mettono per bucare il territorio sensibile e bello del Parco Sud, certamente più vocato a produrre beni agricoli di qualità e dare svago a cittadini, piuttosto per estrarre idrocarburi.
(4 dicembre 2014)