Le profonde ferite al territorio
per produrre cemento e asfalto
Il rapporto Legambiente sulle cave
È l’altra faccia del consumo di suolo, che procede al ritmo di 8 mq al secondo. Sono 6mila le cave attive e 17mila quelle abbandonate. Tutto il territorio italiano, da Nord a Sud, è costellato da profonde ferite aperte, da cui si estrae ghiaia, sabbia, pietrisco da trasformare in cemento per edilizia o asfalto per autostrade: un’abbuffata di 430 kg di cemento/anno a testa, ben il 37% in più rispetto alla media europea!
“Nonostante la crisi del settore edilizio abbia contribuito a ridurre le quantità dei materiali lapidei estratti -spiega Legambiente nel suo Rapporto annuale sulle Cave- i numeri rimangono comunque impressionanti: un miliardo di euro di ricavo, 80milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, 31,6 milioni di metri cubi di calcare e oltre 8,6 milioni di metri cubi di pietre ornamentali estratti nel 2012”. L’estrazione di sabbia e ghiaia rappresenta il 62,5% di tutti i materiali cavati in Italia. Ai primi posti Lazio, Lombardia, Piemonte e Puglia, dove ogni anno vengono prelevati circa 50 milioni di metri cubi di queste materie prime. Rilevanti sono anche gli impatti e i guadagni legati all’estrazione di pietre ornamentali, ossia di materiali di pregio dove sono minori le quantità estratta ma rilevantissimi i guadagni e gli stessi impatti (dalle Alpi Apuane al Marmo di Botticino-Brescia, alla pietra di Trani).
Le profonde ferite al territorio
per produrre cemento e asfalto
Il rapporto Legambiente sulle cave
È l’altra faccia del consumo di suolo, che procede al ritmo di 8 mq al secondo. Sono 6mila le cave attive e 17mila quelle abbandonate. Tutto il territorio italiano, da Nord a Sud, è costellato da profonde ferite aperte, da cui si estrae ghiaia, sabbia, pietrisco da trasformare in cemento per edilizia o asfalto per autostrade: un’abbuffata di 430 kg di cemento/anno a testa, ben il 37% in più rispetto alla media europea!
“Nonostante la crisi del settore edilizio abbia contribuito a ridurre le quantità dei materiali lapidei estratti -spiega Legambiente nel suo Rapporto annuale sulle Cave- i numeri rimangono comunque impressionanti: un miliardo di euro di ricavo, 80milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, 31,6 milioni di metri cubi di calcare e oltre 8,6 milioni di metri cubi di pietre ornamentali estratti nel 2012”. L’estrazione di sabbia e ghiaia rappresenta il 62,5% di tutti i materiali cavati in Italia. Ai primi posti Lazio, Lombardia, Piemonte e Puglia, dove ogni anno vengono prelevati circa 50 milioni di metri cubi di queste materie prime. Rilevanti sono anche gli impatti e i guadagni legati all’estrazione di pietre ornamentali, ossia di materiali di pregio dove sono minori le quantità estratta ma rilevantissimi i guadagni e gli stessi impatti (dalle Alpi Apuane al Marmo di Botticino-Brescia, alla pietra di Trani).
Delle 5.592 cave attive, 674 in Lombardia, 563 in Veneto e 504 in Sicilia. I Comuni con almeno una cava presente sul proprio territorio sono 2.183, ma 1.081 Comuni ne hanno addirittura due. Nel Veneto, che nulla ha da invidiare alla Lombardia in fatto di autostrade e consumo di suolo, sembra un delirio quello di Sant’Anna di Alfaedo (VR): ben 76 cave attive. A ovest, il Comune di Bagnolo Piemonte (CN) si distingue per le 70 cave attive.
La Lombardia è in testa alla classifica anche per le cave dismesse e monitorate. Delle 16.045, ben 2.895 sono nella nostra regione, seguita da Puglia con 2.579 e Veneto con 2.075. I Comuni con una cava dismessa sul proprio territorio sono 1.687, di cui 1.152 quelli con almeno due siti abbandonati. Impressionante il dato relativo a Isola Vicentina: 142 cave dismesse! All’estremo opposto, Custonaci, in provincia di Trapani, ne conta116, e numerosi capoluoghi di provincia come Trento con 91, Roma con 59, Prato con 56 e Perugia con 41.
Un settore regolamentato con norme inadeguate
A governare un settore così importante e delicato per gli impatti ambientali è a livello nazionale tuttora un Regio Decreto del 1927, con indicazioni chiaramente improntate a un approccio allo sviluppo dell’attività oggi datato. Inoltre in molte regioni, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, si riscontrano rilevanti problemi per un quadro normativo inadeguato, una pianificazione incompleta e assenza di controlli sulla gestione delle attività estrattive.
“Occorre promuovere una profonda innovazione nel settore delle attività estrattive -ha dichiarato il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini- attraverso regole di tutela efficaci in tutta Italia e canoni come quelli in vigore negli altri Paesi Europei. Ridurre il prelievo di materiali e l’impatto delle cave nei confronti del paesaggio è quanto mai urgente e oggi assolutamente possibile. Lo dimostrano i tanti Paesi dove si sta riducendo la quantità di materiali estratti attraverso una politica incisiva di tutela del territorio, una adeguata tassazione e la spinta al riutilizzo dei rifiuti inerti provenienti dalle demolizioni edili”.
Un settore altamente redditizio, ma le Regioni preferiscono non saperlo
Prelevare e vendere materie prime del territorio è un’attività altamente redditizia eppure i canoni di concessione pagati da chi cava sono a dir poco scandalosi. In media infatti, si paga il 3,5% del prezzo di vendita degli inerti, ma esistono situazioni limite come nel Lazio, in Valle d’Aosta e in Puglia dove il prelievo degli inerti costa solo pochi centesimi e regioni come Basilicata e Sardegna dove si cava addirittura gratis.
Le entrate degli enti pubblici attraverso i canoni di prelievo sono dunque ridicole in confronto ai guadagni del settore: il totale nazionale dei canoni pagati nelle diverse regioni, per sabbia e ghiaia, è arrivato nel 2012 a 34,5 milioni di euro, mentre il ricavato annuo dei cavatori risulta pari a un miliardo di Euro.
Solo per fare un esempio, in Puglia nel 2012 sono stati cavati cavati 10,3 milioni di metri cubi di inerti che hanno fruttato 129 milioni di euro di introiti ai cavatori e solamente 827mila euro al territorio. Ma anche dove si pagano canoni leggermente superiori, come nel Lazio ed in Valle d’Aosta, il rapporto tra le entrate regionali e quelle delle aziende è di 1 a 40. Nel Lazio, la Regione ricava meno di 4,5 milioni di euro contro i quasi 190 milioni di euro del volume d’affari complessivo con i prezzi di vendita. Quello che emerge dunque, è l’enorme e netta differenza tra ciò che viene richiesto e incassato dagli enti pubblici ed il volume d’affari generato dalle attività estrattive in tutte le regioni, in quelle dove il canone richiesto non arrivano nemmeno ad un decimo del loro prezzo di vendita come in Piemonte, Provincia di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana ed Umbria, ma anche in Campania, Abruzzo e Molise, dove i canoni sono più alti. In Sicilia e Calabria, con l’introduzione per il primo anno del canone di concessione, le regioni ricavano rispettivamente 208 e 420mila euro per l’estrazione di sabbia e ghiaia a fronte dei 10 milioni ricavati dai cavatori in Sicilia ed ai quasi 15 milioni ricavati in Calabria.
“In un periodo di tagli alla spesa pubblica -ha concluso Zanchini- è inaccettabile che un settore tanto rilevante da un punto di vista economico e ambientale venga completamente trascurato dalla politica nazionale. È possibile creare filiere innovative di lavoro e ricerca applicata, ridurre il prelievo di cava attraverso il recupero di materiali e aggregati provenienti dall’edilizia e da altri processi produttivi, ma serve intervenire su una normativa nazionale vecchia di quasi 90 anni, per ripristinare legalità, trasparenza e tutela”.