Quando l’estate di San Martino
era spesso il grigio giorno
del trasloco del contadino

È forse la globalizzazione strisciante che porta con sé la voglia di riscoprire antiche tradizioni legate al mondo rurale. Tra le “riscoperte” vi è l’11 novembre, giorno dedicato a San Martino. Questa data segnava la fine dell’anno agrario e quindi il contratto di lavoro, che era annuale e che poteva essere rinnovato oppure no. Per il contadino al quale non veniva rinnovato, significava perdere non solo il lavoro, ma anche la casa. In questo giorno avvenivano quindi i traslochi e spesso s’incrociavano le famiglie che andavano e quelle che tornavano: le stesse scene si ripetevano di cascina in cascina. Sul carro venivano poste le poche proprietà: i mobili, le scorte di viveri, il legname, le gabbie di polli, il maiale e i bambini e i vecchi. È così che anche in città si è trasferita l’abitudine di fare i traslochi durante il periodo di San Martino a novembre, tanto che si usa dire “fare San Martino” per indicare il trasloco.
Ma, per chi aveva scampato il pericolo della fame e la paura per ciò che poteva accadere nel nuovo anno agrario, si trasformava in un giorno di festa, favorita dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorreva finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata.

Quando l’estate di San Martino
era spesso il grigio giorno
del trasloco del contadino


È forse la globalizzazione strisciante che porta con sé la voglia di riscoprire antiche tradizioni legate al mondo rurale. Tra le “riscoperte” vi è l’11 novembre, giorno dedicato a San Martino. Questa data segnava la fine dell’anno agrario e quindi il contratto di lavoro, che era annuale e che poteva essere rinnovato oppure no. Per il contadino al quale non veniva rinnovato, significava perdere non solo il lavoro, ma anche la casa. In questo giorno avvenivano quindi i traslochi e spesso s’incrociavano le famiglie che andavano e quelle che tornavano: le stesse scene si ripetevano di cascina in cascina. Sul carro venivano poste le poche proprietà: i mobili, le scorte di viveri, il legname, le gabbie di polli, il maiale e i bambini e i vecchi. È così che anche in città si è trasferita l’abitudine di fare i traslochi durante il periodo di San Martino a novembre, tanto che si usa dire “fare San Martino” per indicare il trasloco.
Ma, per chi aveva scampato il pericolo della fame e la paura per ciò che poteva accadere nel nuovo anno agrario, si trasformava in un giorno di festa, favorita dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorreva finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata.

Al parco del Ticinello il trasloco dei contadini

Anche nel Parco Sud si torna a far rivivere la tradizione del passato: per la prima volta, al Parco del Ticinello, nella cascina Campazzo (via Dudovich, 10), domenica 10 novembre, a partire dalle ore 15, si svolgerà una “libera rappresentazione del trasloco dei contadini nella campagna milanese”, con costumi forniti dal Teatro Ringhiera.
A seguire, una gioiosa degustazione di caldarroste e vin brulé. Il tutto a cura del Comitato per il Parco Ticinello Onlus e dell’Azienda Agricola Falappi. All’evento partecipano anche gli Amici Cascina Linterno.
E speriamo che San Martino, pur se con un giorno di anticipo, porti un po’ d’estate. Per maggiori informazioni: Comitato per il Parco Ticinello Onlus Via Dudovich,10 20142 Milano, parcoagricoloticinello@gmail.com; www.parcoticinello.it; tel. 3479649154 – 0289500565.

La storia di San Martino

Martino nacque nel 316 nell’antica Pannonia, fra l’Ungheria e l’Austria; era figlio di un ufficiale romano e fu educato nella città di Pavia, dove passò la sua infanzia fino all’arruolamento nella guardia imperiale all’età di quindici anni. A scuola Martino prese i primi contatti con i cristiani e, all’insaputa dei genitori, si fece catecumeno e prese a frequentare le assemblee cristiane. In questo periodo si verificò uno degli episodi più noti della vita del Santo raffigurato in moltissimi dipinti e sculture. Si racconta che in una notte d’inverno, mentre era di ronda, incontrò un povero viandante che soffriva il freddo, e non avendo denaro da dargli, tagliò a metà il proprio mantello affinché il mendicante avesse qualcosa con cui coprirsi. Perciò san Martino, oltre a essere il protettore dei militari, lo è anche  dei pellegrini.
Il futuro vescovo passò quasi venti anni nell’esercito e, dopo aver ricevuto il battesimo decise di congedarsi per divenire monaco. Fu poi ordinato diacono e infine prete. Viaggiò a lungo predicando il cristianesimo, convertì i pagani errando per terre lontane finché un giorno si fermò in Francia, nei pressi di Poitiers, dove fondò un monastero. La sua popolarità crebbe di giorno in giorno sicché, per volontà popolare e perché potesse continuare con maggiore efficacia la propria opera di evangelizzazione, Martino venne ordinato vescovo di Tours. Dopo anni di frenetica e febbrile attività il Santo si spense a Candes, una località francese nella confluenza tra la Vienne e la Loira: lungo questo fiume  fu portato il suo corpo fino al cimitero di Tours, dove l’11 novembre ebbe sepoltura. Presto divenne meta di incessanti pellegrinaggi, come fosse San Pietro a Roma o Santiago di Compostella in Spagna, e al suo monastero giungevano in massa  i fedeli per chiedere la guarigione di ogni tipo di malattia.
Ma, come spiega Alfredo Cattabiani, nel suo fortunato libro Santi d’Italia (Rizzoli, Premio Estense 1993), San Martino divenne ancora più popolare per la collocazione della sua festa nel calendario che coincideva con la fine delle celebrazioni del Capodanno dei Celti, il Samuin, che cadevano proprio nei primi dieci giorni di novembre.
Quella festa pagana era ancora viva nell’VIII secolo e siccome Martino fu fin dal primo medioevo il santo più popolare d’Occidente, la Chiesa pensò bene di cristianizzare i festeggiamenti celtici trasferendo molte delle sue usanze nella festività del celebre vescovo di Tours.

Le tradizioni e i proverbi legati a San Martino

Come ci racconta Totalitalia.it, la festa di San Martino divenne in gran parte dell’Europa una sorta di capodanno: in Italia, fino al secolo scorso, l’11 novembre cominciavano le attività dei tribunali, delle scuole e dei parlamenti; si tenevano elezioni e in alcune zone scadevano i contratti agricoli e di affitto. Tuttora in molti luoghi si dice “far San Martino” all’atto di traslocare o sgomberare, perché era proprio in questo periodo che si cambiava tradizionalmente casa: praticamente tutti i cambiamenti si facevano per San Martino. Ed era anche il momento in cui si ammazzava il maiale, come accade tuttora  in alcuni luoghi della Spagna dove un proverbio rammenta. “A todos nos llega el San Martìn”, e cioè “A tutti ci arriva il San Martino”, nel senso che prima o poi tutti dobbiamo morire.
Anche per i bambini era festa grande  perché il santo, come la Befana oggi, portava loro regalini scendendo dalla cappa del camino e, se avevano fatto capricci depositava una frusta ammonitrice,  detta in Francia “Martin baton” o  “martinet”, usanza  tipica dei periodi  di capodanno o di rinnovamento  temporale.
Inoltre, così come i Celti festeggiavano il Samuin banchettando, il giorno di San Martino trascorreva anche nell’ingorda letizia delle tavole colme di ogni ben di Dio. Perciò, tuttora, la figura del Santo è sinonimo di abbondanza: “Ce sta lu sante Martino”, dicono ad esempio in Abruzzo quando in una casa non mancano le provviste.
Ippolito di Cavalcanti, duca di Buonvicino, scriveva nel 1847 a proposito della festa del santo a Napoli: “Cheste è chella bella Jornata di San Martino c’a Napole, e me credo pe tutto lo Munno, se fa na grosa festa; e grazia de chesta sollennità, a dove echiù, a dove meno, se fa lo grande pranzo…”.
Il giorno di San Martino era anche tempo di baldoria, favorita dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorre finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata: in Romagna affermano infatti che “Par Sa’ Marten u s’imbariega grend e znèn”, cioè “per San Martino s’ubriaca il grande e il piccino”. Oppure : “Per San Martino si spilla il botticino”; e ancora, “Per San Martino cadon le foglie e si spilla il vino”. Ma in questi giorni scorre a fiumi anche il vino novello: è risaputo  infatti che  “Per San Martino ogni mosto è vino”.
Con il vino gli abitanti delle terre che una volta era la “Gallia Cisalpina” e che oggi alcuni chiamano Padania, consigliano di mangiare le castagne e l’oca: “Per San Martino castagne, oca e vino!”. Un’usanza, quella di mangiare l’oca, da rispettare per avere fortuna, come ci ricordano i Veneti: “Chi no magna l’oca a San Martin nol fa el beco de un quatrin!”.
Ma perché l’oca viene mangiata per la Festa di San Martino? La tradizione si ispirerebbe a una leggenda medievale sulla vita del santo. Era l’anno 371 quando san Martino venne eletto per acclamazione vescovo di Tours in Francia, lui però si nascose in campagna perché preferiva continuare a vivere come semplice monaco. Ma le strida di un storno di oche rivelò agli inseguitori il nascondiglio del santo, che dovette accettare e diventare il grande vescovo che è stato.
Un’altra interpretazione più accorta afferma invece che siccome le oche selvatiche migrano verso sud all’approssimarsi dell’inverno, ai primi di novembre è facile cacciarle e dopo, naturalmente, cucinarle. Forse perciò si afferma che: “Oca e vino tieni tutto per San Martino”.
In ogni modo la scelta del grasso volatile come cibo tipico della festa di San Martino non è casuale perché dietro la popolare usanza gastronomica si celano vestigia di antiche credenze religiose che deriverebbero dalle celebrazioni del “Samuin” Celtico: l’oca di san Martino sarebbe dunque una discendente di quelle oche sacre ai Celti, simboli del Messaggero divino, che accompagnavano le anime dei defunti nell’aldilà. Infinite poi sono le favole europee ispirate all’oca sorte in terre che una volta furono dei Celti: si pensi alla “Vecchia delle oche” di Grimm, ai “Racconti di mia madre l’oca” attribuiti a Perrault,  oppure al mito della fata Melusina che curiosamente  aveva i piedi  a forma di zampa d’oca che nessun mortale poteva vedere.
Insomma, un’eco lontana di queste credenze potrebbe essere la consuetudine, esistente tuttora in molti Paesi dove la religione celtica era più radicata, di mangiare l’oca proprio in questi giorni, a partire dal giorno di Ognissanti.
Il mondo dell’agricoltura ha seguito per secoli lo scandire di questa data e oggi in Italia e in altri Paesi europei l’estate di San Martino viene festeggiata tutt’oggi con banchetti e sagre.

 

Quando l’estate di San Martino era spesso il grigio giorno del trasloco del contadino

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