È la Green economy
la ricetta anticrisi
Un’economia low carbon, attenta alle persone e ai territori. È questa la ricetta anticrisi “cucinata” da Legambiente, che nel rapporto L’Italia oltre la crisi, realizzato in collaborazione con Ambiente Italia, presenta un’analisi degli ultimi dieci anni di “non governo” del territorio e delle politiche sociali.
“Questa crisi è figlia di politiche scellerate che hanno considerato l’ambiente come un freno per lo sviluppo economico o un lusso da rinviare a tempi migliori – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Dalla crisi che sta attraversando il Paese invece si potrà uscire solo con idee differenti e con il coraggio di cambiare sul serio. Dobbiamo puntare a una alleanza tra lavoro e ambiente per cercare di rispondere adeguatamente alla drammatica situazione attuale per cui aumentano le diseguaglianze e la crisi climatica incombe. Oggi c’è una sola ricetta per uscire dalla crisi, ed è quella di una Green economy che incrocia le domande e i problemi dei territori, i ritardi del paese e le paure del futuro, le risorse e le vocazioni delle città e che vuole rimettere al centro la bellezza italiana”.
È la Green economy
la ricetta anticrisi
Un’economia low carbon, attenta alle persone e ai territori. È questa la ricetta anticrisi “cucinata” da Legambiente, che nel rapporto L’Italia oltre la crisi, realizzato in collaborazione con Ambiente Italia, presenta un’analisi degli ultimi dieci anni di “non governo” del territorio e delle politiche sociali. “Questa crisi è figlia di politiche scellerate che hanno considerato l’ambiente come un freno per lo sviluppo economico o un lusso da rinviare a tempi migliori – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Dalla crisi che sta attraversando il Paese invece si potrà uscire solo con idee differenti e con il coraggio di cambiare sul serio. Dobbiamo puntare a una alleanza tra lavoro e ambiente per cercare di rispondere adeguatamente alla drammatica situazione attuale per cui aumentano le diseguaglianze e la crisi climatica incombe. Oggi c’è una sola ricetta per uscire dalla crisi, ed è quella di una Green economy che incrocia le domande e i problemi dei territori, i ritardi del paese e le paure del futuro, le risorse e le vocazioni delle città e che vuole rimettere al centro la bellezza italiana”.
“Misurata sugli 8 indicatori quantitativi dell’Agenda Europa 2020 – ha dichiarato Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia – l’Italia mostra una forte debolezza rispetto a molte altre società europee soprattutto sul fronte dell’inclusione sociale e della costruzione di una “economia della conoscenza” fondata sull’innovazione tecnologica e scientifica. Ma anche una (inattesa) opportunità sotto il profilo ambientale. Noto – e peggiorato – risulta il gap con gli altri paesi nella spesa in ricerca e sviluppo e nella presenza di industrie e servizi ad alto contenuto tecnologico. Ed è preoccupante che questo avvenga anche nei settori dove oggi l’industria italiana è tra i leader europei: nelle energie rinnovabili (ha il 13% del fatturato europeo ma genera meno del 6% dei brevetti). Con una spesa per l’istruzione in declino, abbiamo solo il 20% dei giovani laureati e scontiamo un quasi drammatico “digital divide”, con solo il 66% degli adulti che utilizza internet (a fronte dell’82% dell’Europa e di quasi il 100% dei paesi nordici)”.
Mobilità insostenibile
A livello di mobilità, invece, la motorizzazione privata e le percorrenze in auto in Italia sono sempre tra le più alte d’Europa. Nonostante il declino delle nuove immatricolazioni, il tasso di motorizzazione continua a crescere e rimane ai vertici dell’Unione europea e del mondo. Nel 2011 siamo ormai sopra le 60 auto ogni 100 abitanti, rispetto alle 50 della Germania e alle 47 della media dell’Unione europea. Anche le percorrenze automobilistiche in Italia sono superiori alla media europea (il 22% in più) e a quelle della maggior parte degli altri paesi europei. Più rilevante, invece, è la differenza per il trasporto pubblico urbano, soprattutto nelle principali città, dove in altri paesi europei è più rilevante sia la quota di movimenti ciclabili sia quella con mezzi pubblici (in particolare tram e metropolitane). Nel 2011, per la prima volta, le vendite di biciclette nuove hanno superato in Italia le immatricolazioni di nuove auto. Le nuove immatricolazioni sono passate dalle 42-43 auto ogni 1.000 abitanti degli inizi 2000 (a fronte di una media di 38 auto per 1.000 abitanti nell’area euro) al minimo di circa 29 auto ogni 1.000 abitanti raggiunto nel 2011. Le vendite di biciclette invece, storicamente pari a circa i 2/3 delle nuove auto, hanno subito un rallentamento meno vistoso e in quell’anno hanno uguagliato e superato quelle delle auto. Comunque le vendite di biciclette sono largamente inferiori alla media europea.
Energia green e non
Sul fronte energetico, nel 2012 è proseguita la discesa dei consumi energetici nazionali. La crisi economica e le condizioni meteorologiche sono importanti fattori della riduzione, ma la riduzione è anche il segno dell’introduzione di misure di efficienza energetica che hanno portato i consumi a valori inferiori a quelli del 2000. Il petrolio resta ancora la principale fonte (37,5%), essenzialmente per gli usi come carburante. Il 35% dei consumi derivano dall’impiego di gas naturale mentre il 13,3% è dato dalle rinnovabili e il 9% dall’uso di carbone. Nel bilancio energetico nazionale cresce la produzione da fonti rinnovabili, quasi raddoppiata rispetto a 10 anni orsono. Nella produzione elettrica nazionale, al 2012 le fonti rinnovabili valgono per il 28% della produzione e sono ancora in rapidissima crescita la produzione eolica (+34%) e quella fotovoltaica (+72%). Nel 2011 le emissioni di CO2eq sono stimate a 490 milioni di tonnellate, circa il 5% in meno del livello 1990. Nel 2011 la produzione di energia ha rappresentato il 31% del totale delle emissioni climalteranti italiane, i trasporti il 27%, l’energia per usi civili il 20%, l’energia per l’industria il 14%, l’agricoltura il 7,8%, i processi industriali il 7,5% e, infine, i rifiuti il 4,2%. L’Italia rimane il quarto paese europeo per emissioni dopo Germania, Regno Unito e Francia. Le riduzioni più consistenti si registrano per quei composti di cui è stato eliminato o fortemente ridotto l’utilizzo (come il piombo o l’anidride solforosa) o per cui sono state imposte specifiche misure di controllo e depurazione. Di gran lunga meno efficaci i risultati sulle emissioni polveri sottili – particolarmente rilevanti sotto il profilo sanitario – che si sono ridotte su scala europea del 26% (del 17% in Italia) sul periodo 1990-2010, ma sono cresciute nel 2010 rispetto al 2009 (sia nella Ue sia in Italia).
Rifiuti e raccolta differenziata
Nel settore dei rifiuti, nel 2011 la produzione di quelli urbani ha subito una caduta, grazie ai primi risultati delle politiche degli enti locali ma anche per effetto della riduzione dei consumi, attestandosi (sulla base dei comuni capoluogo) a circa 31,5 milioni di tonnellate. Il pro capite scende a poco più di 510 kg/ab, il valore più basso dal 2000. Negli anni 2000-2009 in Italia la produzione dei rifiuti urbani aveva continuato a crescere con un tasso quasi doppio rispetto al Pil: +11% la produzione dei rifiuti, +5,2% il Pil. Prosegue invece, anche se senza grandi balzi in avanti, la percentuale delle raccolte differenziate stimata al 37% nel 2011, con un modesto incremento sul 2010. Permane ancora un grande scarto tra le regioni settentrionali – in gran parte oltre il 50% – e le regioni centro-meridionali con tassi di riciclo più modesti e nelle regioni meridionali generalmente inferiori al 20% (con la sola eccezione della Sardegna).
Tassazione ambientale
La tassazione ambientale nel 2011 è stata pari a 43,9 miliardi di euro, composta per il 75% (33 miliardi di euro) da tasse energetiche, e in particolare dalle accise petrolifere, per il 23,5% da tasse automobilistiche (10,3 miliardi di euro) e per il resto (meno di 500 milioni di euro) da tributi di discarica e altre imposte. Le tasse ambientali sono oggi significativamente inferiori rispetto agli inizi degli anni 2000 (nel 2001 erano il 3% del Pil e il 10,5% del totale delle entrate). In tutta l’Unione europea, tra il 1995 e il 2010, l’Italia è il paese con la maggiore contrazione dell’incidenza delle tasse ambientali sul Pil e, assieme a Grecia e Portogallo, dell’incidenza sulle entrate tributarie.
Illegalità in crescita
L’illegalità ambientale in questi ultimi 10 anni non è mai diminuita: le infrazioni accertate nel 2001 erano 31.201, oggi, nonostante l’accresciuta sensibilità e la diffusione delle informazioni sulla gravità del problema, sono 33.817. Le persone denunciate o arrestate erano 25.890 mentre oggi sono 28.274. Assai preoccupante, nello stesso periodo, l’aumento dei numeri relativi alle quattro regioni tradizionalmente a rischio (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) con le infrazioni che passano da 15.708 a 16.116; le persone denunciate o arrestate che passano da 9.794 a 12.824 e i sequestri che salgono da 3.919 a 4.395. Anche nel ciclo dei rifiuti le infrazioni sono aumentate, passando da 1.734 a 5.284 (da 687 a 2.039 nelle 4 regioni a rischio), così come per l’annoso problema (tutto italiano) dell’abusivismo edilizio che grazie ai reiterati annunci di condono edilizio e alla scarsa attuazione della politica degli abbattimenti, ha visto il fenomeno passare dalle 25 mila infrazioni del 2001 alle 27 mila attuali mentre il business totale delle ecomafie è aumentato dai 14,3 miliardi di euro del 2001 ai 16,6 miliardi di euro del 2011.
Dissesto idrogeologico
In tema di dissesto idrogeologico, se fino al 2000 le alluvioni e le frane coinvolgevano mediamente 4 regioni ogni anno, negli ultimi dieci anni il numero di territori coinvolti è raddoppiato, passando a 8. Così come sono aumentati i fenomeni meteorici che prima risultavano eccezionali. Nel contempo però la prevenzione tarda ad arrivare. Negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati effettivamente erogati per attuare gli interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorità di bacino (PAI), per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro. Decisamente troppo pochi se si considera quanto invece sono costati, in termini di danni, i dissesti che si sono verificati nel corso degli anni. Nell’ultimo ventennio i danni da frane ed alluvione corrispondono a circa 30 miliardi di euro (fonte Ispra) e solo negli ultimi tre anni lo Stato ha speso circa un milione di euro al giorno per coprire solo parte dei danni provocati su tutto il territorio.
L’Italia oltre la crisi però guarda avanti e presenta una serie di idee e proposte per mettere in moto gli interventi indispensabili per cambiare il futuro.
1) Ridisegnare la fiscalità per spingere l’innovazione ambientale e creare lavoro. Fare delle emissioni di CO2 il criterio per ridefinire accise e Iva che gravano su impianti da fonti fossili, autoveicoli, prodotti e consumi. In questo modo si premia l’efficienza energetica e si spingono gli investimenti, generando nuove risorse da utilizzare per ridurre la tassazione sul lavoro; rivedere canoni e tasse sull’uso dei beni comuni, intervenendo sui regimi di tutela. Per uscire dallo scandalo della gestione di cave, sorgenti di acque minerali, discariche, spiagge. In modo da fermare gli abusi, ridurre gli impatti, premiare l’innovazione; recupero urbano invece del consumo di suolo. Per recuperare miliardi di euro da utilizzare per interventi di riqualificazione ambientale e edilizia.
2) Fermare le ecomafie. L’ecomafia è la zavorra che impedisce concretamente alla Green economy di esprimere tutte le sue potenzialità: ogni tonnellata di rifiuti sottratta alle filiere legali è una tonnellata in meno per la filiera del recupero, riuso e riciclo; ogni metro quadrato in più di cemento illegale è un metro quadrato in meno di territorio agricolo o protetto; ogni pala eolica costruita con i soldi o l’intermediazione della mafia è una pala in meno per le imprese pulite delle energie rinnovabili. Sanzioni penali adeguate, misure preventive e patrimoniali, obbligo di ripristino dello stato dei luoghi, ravvedimento operoso o, addirittura, non punibilità se l’artefice del danno all’ambiente si autodenuncia e poi bonifica l’area interessata: ecco quanto prevede la proposta di legge di Legambiente per l’inserimento dei delitti contro l’ambiente nel codice penale.
3) Rilanciare gli investimenti, per rimettere in modo il paese. Tornare a investire per rilanciare l’economia e creare lavoro fermando la politica di tagli trasversali e indiscriminati: le risorse per contrastare il dissesto idrogeologico, investire in ricerca e green economy, realizzare bonifiche partendo dai siti orfani, acquistare treni e autobus, si possono reperire cambiando le priorità di spesa e intervenendo con coraggio sulla spesa pubblica, dove vi sono enormi sperperi di risorse in mala gestione, grandi opere, sussidi alle fonti fossili, armamenti.
4) Premiare l’autoproduzione energetica da rinnovabili e la riqualificazione del patrimonio edilizio. La rivoluzione energetica è già in corso con una produzione arrivata al 28% dei consumi elettrici nel 2012, ma oggi si deve fare un passo avanti per aiutare famiglie e imprese premiando l’autoproduzione da fonti rinnovabili e la gestione di impianti efficienti e puliti attraverso smart grid private e facilitando lo scambio con la rete. Tutti interventi oggi vietati che aprirebbero prospettive straordinarie di riduzione dei consumi da fonti fossili; puntando alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio quale scenario per far uscire dalla crisi il settore delle costruzioni con nuove politiche che diano certezze agli investimenti per ridurre i consumi energetici nelle ristrutturazioni degli alloggi e dei condomini secondo il modello inglese del “green deal”.
5) Mettere al centro le città. Solo investendo nelle città l’Italia può riuscire a muovere un’innovazione che non rimanga un concetto vago e astruso. Ed è la qualità e quantità del welfare, dal trasporto pubblico agli asili, dall’istruzione alla cultura, a determinare la competitività di una economia e di un territorio. Per questo serve una regia e una politica nazionale, per non perdere le risorse dei fondi strutturali europei 2014-2020 e realizzare finalmente interventi di riqualificazione ambientale e sociale delle periferie, per la casa e la mobilità sostenibile.
Hanno contribuito al volume: Duccio Bianchi, Monica Brezzi, Giovanni Caudo, Stefano Ciafani, Anna Donati, Enrico Fontana, Monica Frassoni, Arturo Lorenzoni, Giulio Marcon, Aldo Ravazzi Douvan, Fabio Renzi, Edo Ronchi, Giorgio Zampetti, Edoardo Zanchini.